11 • cicatrici

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Le punizioni non sono contemplate nell'educazione di un Usignolo: ovviamente, l'avere il diritto di punire qualcuno va contro l'idea che ogni nuova generazione debba fare completamente da sé, imparando senza aiuti esterni.

E non serve un genio per capire che, fra me e i miei fratelli, ero proprio io quella che impartiva le regole, quindi credo sia per questo, per l'abitudine all'avere sempre il coltello dalla parte del manico che, quando finalmente riapro gli occhi e noto il mio polso sinistro legato con una catena di metallo ad un letto sconosciuto, che lo sconcerto si impossessa di me.

Non ricordo niente delle scorse ore, dal momento in cui Daniel ha preso la mia mano e mi ha scortato fuori dalla mia stanza, e davvero non capisco perché sia arrivato a farmi questo: perché sono certa che sia lui il responsabile, viste le sfumature di azzurro che tradiscono l'inconfondibile mobilio della torre nord.

Attualmente, vorrei usare la catena che mi tiene legata per appenderlo al soffitto.

«Signorina? Signorina, è sveglia finalmente.»

Peter si avvicina al mio letto, già con una tazza di tè fra le mani ed un sorriso sollevato ad incorniciargli le labbra. Sembra davvero felice, ed io non riesco a capirlo: sono legata ad un letto.

«Cos'è successo, Peter? Perché le catene?» Domando, senza troppi giri di parole, sventolandogliele sotto gli occhi, sconcertata.

Il Topo, messo alle strette, si morde le labbra, timoroso, e sospira. «Il signorino Daniel mi ha ordinato di farlo, ma posso assicurarle che è stato per il suo bene.»

Il mio bene?

«Liberami,» insisto, ma le mie parole raggiungono il vuoto.

«Signor-»

La porta della stanza si apre con lentezza, e subito gli occhi azzurri di Daniel saettano dal Topo a me, notando la catena stretta nelle mie mani e lo sguardo confuso di Peter: ovviamente, capisce ogni cosa.

«Peter, credo sia meglio se ci lasci soli.»

Il Topo subito annuisce, accondiscendente, e, nell'andarsene, lascia nelle mani del suo padrone una chiave argentata che non sfugge al mio sguardo.

«Liberami, Daniel,» dico, ed è pressoché una minaccia. Intanto, il vestito nero si sta attorcigliando intorno al mio corpo in modo sinceramente fastidioso. «Hai detto che questa non è una prigione.»

«Vedo che ti ricordi di ciò che dico quando ne hai bisogno,» commenta lui, sarcastico. «Non sei corretta.»

Alzo un sopracciglio, sconcertata. «Fai sul serio?»

Daniel accenna ad un sorriso e poi, con fatica, mi si avvicina, prendendomi il polso e sfiorando il lucchetto nero: al momento, inizio a pensare che sia effettivamente inquietante che Daniel abbia delle catene a disposizione, quasi fosse solito legare persone al suo letto.

«Hai dormito per dieci ore, Mary: è quasi l'alba.»

Mi blocco, dimenticandomi per un momento della mio desiderio di fuga, soffermandomi sulle sue parole. «Dieci ore? Eravamo al ballo solo qualche minuto fa.»

Daniel mi guarda, tranquillo, e mi rendo conto che, molto probabilmente, non è affatto come penso.

«Hai conosciuto Aaron ieri, il principe delle Serpi, e ti ha avvelenato. Non chiedermi come: le serpi sono così abili che potrebbero farlo solo guardandoti.»

Aaron, il veleno.

Sfocatamente, ricordo il ragazzo dagli occhi smeraldo belli da mozzare il fiato e lo strano bracciale dorato; poi, l'immagine infuocata di me che desidero baciarlo con tutto il mio cuore.

NIGHTINGALEWhere stories live. Discover now