14. Anzi, voglio capire te

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JIMIN

"Allora? Non hai intenzione di dirmi niente?" mi sentii chiedere dopo qualche secondo, rendendomi conto che ero rimasto lì, con lo sguardo perso nel vuoto, senza nemmeno pronunciare una parola.

Piuttosto imbarazzante, direte voi...beh, avete ragione.

"S-sì, solo che..." iniziai a mormorare con aria confusa, non sapendo neppure come procedere con la frase e mettendomi a guardarlo quasi sentendomi in soggezione.
"Jimin, hai praticamente il terrore dipinto in faccia in questo momento. Perchè ti fa così paura il fatto che io voglia sapere qualcosa di te?" mi domandò Jungkook subito dopo, probabilmente non riuscendo a capire i miei gesti e le mie espressioni.

"Perchè ho paura di affezionarmi a te per poi rimanere ferito a morte quando, tra due mesi e mezzo, te ne andrai da questa casa con la stessa facilità con cui sei arrivato" continuava ad urlare la mia testa in risposta, facendomi praticamente diventare matto. Ma, nonostante l'insistenza della voce nella mia testa, le parole che vennero fuori dalla mia bocca furono molto diverse.

"Non ho mica paura. Mi hai solo preso in contropiede, visto che nessuno mi ha mai chiesto della mia vita in Corea. Ecco tutto.
Se proprio vuoi saperlo così tanto, allora adesso te ne parlerò" gli risposi in tono seccato, mettendomi, poi, più comodo sul letto, poggiando, quindi, la schiena sul cuscino, e riprendendo a parlare solo nel momento in cui notai i suoi occhi marroni posarsi sui miei.

E, ve lo giuro, per una delle prime volte da quando Jungkook era entrato in casa mia, quello sguardo non aveva nessuna malizia o perversione. Era semplicemente...lui, senza nessun doppio fine.

E la cosa non giocava per niente a mio favore, considerando le farfalle nello stomaco che mi erano salite qualche minuto prima ed il fatto che avevo la netta sensazione che qualcosa, dentro di me, stava cambiando riguardo quello che sentivo per lui...

"Sono nato a Seoul e ho sempre vissuto lì fino a, circa, i dieci anni, quando, appunto, a mio padre hanno offerto un lavoro da direttore estero della filiale di Roma dell'azienda per cui lavorava precedentemente.
La mia famiglia ha discusso parecchio su questo punto, ma poi, alla fine, abbiamo impacchettato tutto e siamo venuti qui, lasciandoci alle spalle tutta la vita che abbiamo avuto in Corea.

All'inizio...ero praticamente disperato. Sono passato dal vedere Tae ogni giorno, visto che abitavamo a cento metri di distanza ed eravamo anche in classe insieme, a doverlo sentire una volta a settimana con una chiamata attraverso i telefoni delle nostri rispettive mamme.
E, beh, per un bambino di dieci anni non è il massimo...

Le medie, qui a Roma, sono state un momentaccio, visto che in classe non ero riuscito a farmi nessun amico, ero visto da tutti come il "ragazzino cinese", nemmeno si sono sprecati a capire che sono coreano, e...all'ultimo anno mi sono reso conto di provare attrazione fisica per i ragazzi.

Ho combattuto a lungo con me stesso, su questo ultimo punto, prima di rivelarlo ai miei genitori, avvolto da chissà quale paura che non mi avrebbero mai più visto nello stesso modo. E, sempre in quel periodo, ho iniziato a leggere, a scrivere, ad ascoltare musica dalla mattina alla sera ed a imparare a suonare il piano per scappare un po' da tutto questo.

Invece, non appena mi feci il coraggio di dirlo ai miei, andò molto meglio del previsto. Certo, credo che a mio padre questa cosa non sia mai andata giù totalmente, ma, almeno, non ho mai visto sulla sua faccia la delusione di avere un figlio gay. E, sinceramente, questo mi è sempre bastato.

Poi...con l'inizio delle superiori, e quindi l'aver conosciuto Giulia, ed il fatto che, finalmente, Tae fosse dotato di un suo telefono, tutto iniziò a migliorare.
Giulia è un po' diventata "la Tae italiana", a cui so che posso raccontare tutto, ed il vero Tae c'è sempre stato, anche solo in videochat, nei momenti in cui sentivo di avere bisogno di lui o dei suoi consigli.

E...questa è pressochè tutta la mia vita riassunta in pochi minuti" gli spiegai con calma e tranquillità, cercando di sostenere il suo sguardo il più possibile ma, poi, fallendo miseramente.

"Non pensavo ci fosse tutto questo dietro di...te" fu il suo commento alle mie parole, pronunciato in tono un po' malinconico dopo qualche secondo di silenzio.
"Beh, ora lo sai" conclusi con imbarazzo, distogliendo lo sguardo dal suo viso e stringendomi nelle spalle.

Dopo questo, si aprirono svariati minuti di silenzio, nei quali Jungkook si avvicinò progressivamente a me, prendendomi, poi, una mano tra le sue ed accarezzandole con calma.

"Jimin?" mormorò dopo un po', ottenendo tutta la mia attenzione.
"Dimmi".
"Anche se tu probabilmente non te ne sei mai reso conto, ti noto spesso con questa espressione pensierosa e malinconica sul volto, mentre scrivi sul tuo quaderno, e con, sempre, la cuffietta destra nell'orecchio.
E...mi sono sempre chiesto cosa diavolo ascoltassi per farti venire quella faccia. Posso avere l'onore di saperlo?" mi chiese in tono divertito, rivolgendomi uno dei suoi soliti sorrisetti provocatori.

"Perchè mi stai facendo così tante domande oggi?" gli risposi nel suo stesso identico tono, distogliendo, poi, lo sguardo per non dover rispondere a quella domanda.
"Voglio conoscerti meglio. Non mi pare sia un crimine" mi disse Jungkook con aria ovvia, assumendo una pura espressione di confusione.

"N-no, certo. Ma...perchè chiedermi delle canzoni che ascolto?" mormorai sulla difensiva dopo essermi ripreso dal colpo al cuore che sono state le sue parole precedenti.
"La musica che ascoltiamo dice molto su di noi. Non lo sapevi?".
"Dio, allora sono proprio un depresso..." commentai con aria ironica, ottenendo come reazione da parte sua solo uno sguardo stranito, che mi stava a chiedere una spiegazione delle parole che avevo appena pronunciato.

"Mi piace scrivere, o leggere, con sottofondo canzoni "tormentate" o tristi, a seconda di come la vuoi vedere. Mi aiuta proprio un sacco.
Lo so, sono strano. Non giudicarmi troppo male" gli spiegai con un velo di imbarazzo, che cercai, però, di mascherare girando la testa alla mia destra e posando lo sguardo sulla porta socchiusa.

"Passami la playlist" mi sentii dire dopo qualche secondo, non riuscendo a far altro che rigirare la testa verso di lui con aria sconvolta chiedendogli se si volesse veramente così del male.
"No, voglio solo capire. Anzi, voglio capire te" mi rispose in tono maledettamente serio, indicandomi, poi, il mio telefono per farmi capire che gli avrei dovuto inviare quella playlist, ed anche subito.

Ecco, ragazzi, fu in quel momento che mi resi conto che, per me, il "gioco" che avevamo iniziato tra di noi era finito da un pezzo...

•Who do you love? {Jikook}•Where stories live. Discover now