Capitolo 3

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Il grasso sfrigolava sulla carne. Formava delle bollicine che scoppiettavano e si riformavano di continuo. La puzza che emanava, poi, bastava a farle perdere la fame per il resto dei suoi giorni, e dire che un tempo le metteva l'acquolina in bocca. Pochi turni alla griglia erano stati sufficienti a renderlo un olezzo insopportabile.

Altair spiaccicò l'hamburger contro la griglia con la paletta. Il grasso colò fuori e si sparse ovunque. Girò la carne, solo per ritrovarsi a osservare il lato ancora rosso che aveva appena rivoltato. Sbuffò e si toccò il capellino sopra la testa con due dita.

Chi cazzo era lo stronzo che chiedeva un panino a quell'ora di notte?

Jim emise un grugnito alle sue spalle. Seguì lo scoppiettio infernale dell'olio nella friggitrice, che coprì ogni altro suono.

Altair fece passare la paletta sotto la carne e la girò ancora. La schiacciò ancora una volta, nella vana speranza che cuocesse prima, ridotta in una soletta delle scarpe. La testa di cazzo che l'aveva ordinato se lo meritava, per essere andato in un fast-food in piena notte. E comunque, dubitava che sarebbe cambiato granché, i panini lì facevano schifo e basta.

Intenta com'era a rigirare e picchiare la carne, si accorse dell'arrivo del vicedirettore solo quando se lo ritrovò ad alitarle sul collo. Allentò la presa sulla paletta, si fece passare la lingua fra le labbra e si voltò a guardarlo con il sopracciglio sollevato.

«Altair.» I baffi gli nascondevano la parte superiore della bocca, ma non le impedirono di notare la linea sottile delle sue labbra.

Lei si gettò una mano sul fianco. «Cosa?»

«Ti ho detto mille volte che gli hamburger non sono dei mostri da prendere a palettate in testa.» I neon mandavano un riflesso bianco sugli occhiali di lui.

Altair scrollò le spalle. «Forse mi stanno solo sul cazzo,» rispose, e si concesse un sorriso obliquo.

Il vicedirettore chiuse gli occhi e scosse la testa, con l'aria di chi non sa più che pesci pigliare. «Stanno entrando altri clienti, gente che preferirei non far incazzare.»

«Ti porti l'amante sul posto di lavoro? Poi dicono che quella squallida sono io.» Altair diede un altro colpo alla carne. Aveva assunto un colore scuro, e dall'odore ancora più disgustoso di prima dedusse che stesse bruciando. Lo tolse dalla fiamma per metterlo sulla metà inferiore del panino aperto sul bancone accanto a lei.

Il vicedirettore si spostò per farle spazio. «Altair! Ti ricordo che sono un tuo superiore.» Le agitò un dito sotto al naso, come un personaggio dei cartoni animati che cercava di farsi il grosso.

Lei reclinò la testa e fece uscire un sospiro esasperato. «Sì, va bene, capo.» Sottolineo l'ultima parola e l'accompagnò con un sorriso strafottente. «Facciamo finta che ti ascolto.»

Lui si lisciò i baffi con fare distratto. «Ti dicevo, sono arrivati dei clienti che preferirei non scontentare. Si tratta di gente violenta, e sai com'è, il locale preferirei che rimanesse intatto.»

Altair prese una fetta di pomodoro e la mise alla bell'e meglio sull'hamburger. «E farebbero esplodere il posto per un panino di merda? Se lo dico io è grave, ma dovrebbero darsi una calmata. Magari possono provare meditazione o una cazzata simile.»

«Io dico seriamente.»

Altair terminò di preparare il dannato panino. Chiunque lo avrebbe ricevuto, si sarebbe chiesto se chi glielo aveva preparato non lo avesse preso a cazzotti. Non sarebbe andato poi tanto lontano dalla verità.

Lo incartò senza troppa cura e lo piazzò al suo posto, solo e sconsolato. Girò sulle punte, e per poco il cappellino non le volò giù dalla testa. «Quindi? Da me che vuoi?»

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now