Capitolo 11

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La mano stringeva la maniglia. Le dita scricchiolarono scivolando sulla sua superficie. Una piccola folgore le premeva contro il palmo, dall'interno. Anziché distruggerla, come avrebbe davvero voluto fare, Altair sbatté la porta dietro di sé. Una lattina sul tavolino lì accanto rotolò giù e lasciò un paio di gocce di birra sul pavimento.

Nim premette le labbra una contro l'altra e la osservò in silenzio. Adesso non aveva niente da dire, la marmocchietta. Del sorriso con cui l'aveva accolta non rimaneva altro che il ricordo, mescolato a quello del suo viso paffuto e l'orsacchiotto di pezza sempre stretto fra le braccia.

«Che cazzo ci fai qui?» Altair lasciò le chiavi sul tavolo. Si accucciò a raccogliere la lattina. Ormai tutto il freddo era evaporato via, e un calore le risalì lungo le dita.

Nim si sistemò la minigonna. Dal basso, le sue gambe apparivano più lunghe di quanto non fossero in realtà, ma il pallore della pelle restava lo stesso. «Mi annoiavo, e pensavo di passare a farti un saluto.» Afferrò il labbro fra i denti. «Sei arrabbiata?»

Altair schiacciò la lattina in un movimento rapido e improvviso. Un'ultima goccia schizzò verso l'alto, percorse un arco e piovve proprio sullo stivale di Nim. «Tu che dici?» Sbuffò, mentre si rialzava. «Come hai fatto a entrare?»

Un colore rosato le imporporò le guance. «Ecco, io, potrei aver rubato la chiave di riserva. E potrei,» roteò gli occhi in modo plateale, «averne fatta una copia.»

«Quale chiave di riserva?»

Nim si poggiò le mani sul grembo. «Quelle che tenevi appese lì.» Indicò un portachiavi da parete, dove una sola chiave dondolava sospesa accanto alla porta.

Altair aggrottò la fronte, aprì la bocca per parlare, ma sbottò in una mezza risata. Era sempre stata lì? Se si concentrava, in effetti, le pareva di rammentare il proprietario ciarlare a proposito di qualcosa del genere. Se solo non fosse stato tanto impegnato a guardarle il fondoschiena, forse lei non ci avrebbe flirtato e l'avrebbe anche ascoltato. Forse.

«Alai? Cosa c'è di così divertente?» Nim si tastò il viso, le palpebre spalancate. «Non dirmi che mi sono conciata come un pagliaccio!» Premette il dito con troppa forza contro le labbra e diffuse una sgommata di rosso lungo la guancia.

Altair scosse la testa. Prese della carta assorbente e si chinò a pulire la birra rovesciata. «Ora sì, lo sei,» commentò. «Ma non è questo il punto. Non sapevo manco di avercele, delle cazzo di chiavi di riserva. A saperlo prima, evitavo di entrare in quel tombino.»

«Quale tombino?»

Appallottolò la carta bagnata e la gettò nel cestino. Quella rotolò giù dalla pila di immondizia accumulata e cadde a terra. «Mi ci erano cadute dentro le chiavi. Per riprenderle ho dovuto aprirlo e scendere giù.» Sbuffò l'aria dal naso. «Mi è rimasta la puzza al naso per almeno una settimana.»

«Oh.» Nim non aggiunse altro, se non un colpo di tosse e un'occhiata al cuscino.

Una scarica elettrica scosse le viscere di Altair. Un attimo, eppure bastò a riportarla alla realtà. I cunicoli stretti e maleodoranti svanirono in una nuvola di fumo dai suoi pensieri. Rimasero solo Nim, la sua voce, il calore della sua presenza e i tuoni che le scatenava nello stomaco.

Schiacciò la carta bagnata sotto la scarpa. «Non mi piace che hai le chiavi del mio appartamento.» Si voltò nella sua direzione e allargò le braccia. «Non mi voglio preoccupare di potermi ritrovare una marmocchia in casa se rientro in compagnia. Ogni tanto vorrei svagarmi in santa pace.»

«Scusami.» Nim abbozzò un sorriso. Un sorriso così tirato e finto che Altair dovette serrare i pugni fino a provare dolore per impedire ai fulmini di uscire allo scoperto. «Non ci avevo pensato. Ecco, tieni.» Tese la mano, e la chiave incriminata rimandò indietro la luce della lampadina. «L'ho fatto senza pensare, però hai ragione. Non è giusto.»

La Voce della TempestaΌπου ζουν οι ιστορίες. Ανακάλυψε τώρα