Capitolo 19

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«Sicura di stare bene?»

Nim si premette il palmo contro la fronte con un sorriso vacillante. «Sì, sto bene. Ogni tanto ho dei mal di testa, ecco tutto. Mi succede spesso, ma non è niente.»

Avvicinandosi allo stabilimento abbandonato dove avevano lasciato gli altri, la città si trasformava: a mano a mano che camminavano, le macchine sparivano, la folla si diradava e le luci si distanziavano fra loro.

Vega osservò le linee della pelle che gli percorrevano la mano. «Il rumore degli spari non aiuta,» disse, più a se stesso che alla ragazzina.

«Come?» Nim camminava a fianco a lui. Non bassa, eppure così piccola. L'unico tocco di colore in lei proveniva dai capelli, sebbene anche quel rosso apparisse più opaco del solito, e dai pantaloni di jeans scuri. La maglia invece condivideva lo stesso candore della sua pelle.

Vega si strusciò la mano contro la gamba. «Possiamo continuare un altro giorno, se oggi non te la senti.»

Avrebbe dovuto riportarla a casa. Convincerla a lasciar perdere tutta la faccenda, qualsiasi fosse il motivo che la spingeva da Miura. Ma fingere che tutto andasse secondo i piani fino all'indomani gli sembrava più facile. Terminato l'addestramento, Nim sarebbe tornata a casa e...

«No, non è niente di grave.» Nim impuntò i piedi e sollevò lo sguardo; lo stabilimento abbandonato proiettava la sua ombra su di lei.

Troppo silenzio.

«Voglio imparare il prima possibile.» La ragazzina gonfiò il busto e rilassò le spalle. Ricominciava la recita della spaccona. I punti di sutura di quella maschera si scucivano fin troppo facilmente, eppure lei continuava a ricucirsela addosso ancora e ancora.

Vega non le rispose. Entrò per primo. La mancanza di rumori gli provocò un fischio nell'orecchio.

Poi riconobbe l'odore che permeava l'aria. Sangue.

Gli pizzicava le narici con il suo sapore ferroso. Ferroso, disgustoso, sbagliato, deprimente. Vega mosse qualche passo in avanti. Anche solo respirare gli doleva alla cassa toracica. Gonfiare e sgonfiare i polmoni rappresentava un'agonia lenta e angosciante.

Spruzzate di liquido cremisi ricoprivano il cumulo di oggetti buttati alla rinfusa. Strisce di grandi e piccole dimensioni percorrevano il divano rotto, convergevano tutte sullo schienale, dove una macchia gigantesca spiccava nel buio.

Non era vero. Niente di quello che aveva davanti era vero.

Dei passi alle sue spalle lo risvegliarono dal suo stato di confusione. Nim comparve al suo fianco, la mano premuta contro la bocca e gli occhi tanto sgranati che sarebbero potuti scoppiare da un momento all'altro. Un suono le sfuggì dalla gola, strozzato e insensato.

Vega le coprì la visuale con una mano. «Girati. Non guardare.» Nemmeno lui sapeva come facesse a suonare aspro, duro, come se non provasse niente di fronte a una scena simile. Come se i suoi fulmini non fossero nel bel mezzo di una lotta mortale fra di loro nel suo stomaco.

Non controllò che Nim gli obbedisse, aggirò il divano, un passo dopo l'altro. Lento. Flemmatico. Voleva davvero vedere, lui? Avrebbe resistito all'ennesima strage che lui stesso aveva causato?

No. La risposta era no, eppure continuò a muoversi finché non si ritrovò davanti il corpo di Butch. Gettato a terra, un altro rifiuto inutile, con un buco al centro esatto del petto. La cravatta arancione si era tinta del rosso del suo sangue. La giacca giaceva aperta. Le braccia allargate. Le palpebre spalancate, una finestra su un mondo che non esisteva più.

Dei singhiozzi squarciarono il silenzio. Nim aveva affondato il viso fra le mani, e una serie di singulti scuoteva il suo corpicino fragile. Lei non ne aveva idea, del perché di tutto questo. Lei non immaginava nemmeno che i suoi respiri erano il motivo per cui il cuore di Butch non batteva più.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now