Capitolo 42

32 6 32
                                    

Tornare al lavoro non la entusiasmava granché. Anzi, una nottata in bianco passata a guardare cartoni animati per ragazzine deprimenti e senza fantasia sarebbe stato più elettrizzante. Che le piacesse o meno, la topaia in cui abitava non si pagava da sola, perciò prima o poi rimettersi a schiacciare hamburger sulla griglia era inevitabile.

Altair si tolse il casco e lo tenne sotto il braccio. Lasciò la moto tutta ammaccata parcheggiata in un punto isolato, dove arrivava solo uno strascico delle luci dei neon. Entrò nel fast-food dando una pedata contro la porta di vetro.

Il fetore della frittura la stordì. Arricciò il naso e fece schioccare la lingua contro il palato.

Dall'altro lato del bancone, Lucy e la sua pettinatura da madre di casa – e la stazza di un toro castrato – spalancò gli occhi e si coprì la bocca con una mano. Ripensandoci, forse Altair ci era finita dentro un cartone animato.

«Che c'è, ti ho mozzato il fiato?» Altair si appoggiò con il gomito sul bancone. «Ormai ti dovresti essere abituata a vedermi.»

«Sì,» mugugnò Lucy. «Cioè, no. Assolutamente no.» Agitò i palmi di fronte a sé come un'ossessa.

Con il sopracciglio sollevato, Altair evitò di sbottare a ridere per un miracolo. «Sono davvero il tipo di tutti.»

Lucy non rispose subito, si limitò a battere le palpebre, persa nel vuoto. Quando comprese la provocazione aggrottò la fronte e balbettò qualcosa senza senso fra sé e sé. Soltanto dopo un'occhiataccia di Altair si decise ad alzare la voce. «Credevo che ti avessero licenziata.»

Questa era bella. Cioè, se doveva essere una battuta, faceva davvero cagare, ma di sicuro non se l'aspettava.

I fulmini le mandarono una scarica sottopelle; nello stesso momento, Altair schiantò il pugno contro il bancone. «E quando cazzo sarebbe successo?»

«Circa un mese fa, quando hai lanciato un vassoio contro un cliente, hai dato un pugno in faccia a un ragazzino e te ne sei andata.» Il vicedirettore e i suoi occhiali rifletti-luce apparvero alle spalle di Lucy.

«Non potete farlo, non avete avuto nemmeno le palle di dirmelo.»

«Ci ho provato, ma non ti sei più presentata e non mi rispondi al telefono.»

Certo che no. Non l'aveva più ricomprato da quando l'aveva distrutto cercando di ricaricarlo nei bassifondi. In verità non ci aveva più nemmeno pensato che gliene servisse uno, da quando...

Afferrò il casco con entrambe le mani e lo sbatté con forza sul bancone. La cassa traballò. Lucy e il vicedirettore si attaccarono al muro; la prima in maniera palese, spiaccicata come una frittella, il secondo mantenendo una parvenza di compostezza.

Meritavano anche loro due un bel calcio in culo. Aveva rifilato a un branco di teppistelli da strada la loro stessa medicina, e allora?

«Va bene,» disse alla fine. Alzò i palmi. «Sapete cosa, me ne frega meno di un cazzo di questo lavoro di merda. Rimaneteci voi a puzzare di cibo spazzatura e a pulire cessi intasati, se proprio vi piace così tanto.»

Il vicedirettore si calcò il berretto arancione sulla testa. «Sono contento che l'hai presa bene.»

Come altro doveva prenderla, quella notizia di merda? Dopo tutto lo schifo degli ultimi tempi, non le faceva più né caldo né freddo. Così si disse, mentre rivolgeva un sorriso tirato ai due stronzi che le stavano davanti e i fulmini le mandavano un'ondata di agitazione addosso. Le dita picchiettarono sul bancone, poi si decise a riprendere il casco e sollevare il medio verso di loro.

«Divertitevi a farvi prendere per il culo dai ragazzini ubriachi.» Se ne andò senza attendere una loro risposta, anche perché sapeva che non sarebbe arrivata.

La Voce della TempestaWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu