Capitolo 18

48 7 40
                                    

Il cumulo di panni che si era tolta la sera prima seppelliva un paio di scarpe ai piedi del letto. Altair tenne la porta aperta, attendendo che Elettra si facesse avanti, poi si preoccupò di ripulire il casino: lanciò maglia e jeans sul pavimento del bagno e spinse le scarpe sotto il letto. Commise il terribile errore di annusare a fondo l'aria mentre si rialzava, e l'odore della sua nuova coinquilina le fece salire un conato.

Spalancò le ante della finestra. Lo smog delle macchine di sotto la investì in pieno, ma era sempre meglio. «Prendi dei vestiti a caso e vai a farti una doccia, prima di appestarmi casa,» disse.

Elettra tentennò accanto al tavolo. Girava la testa da un lato all'altro, in contemplazione.

Altair fece schioccare la lingua, e l'altra concentrò l'attenzione su di lei. «Sono lì,» indicò i panni ripiegati accanto al televisore, appoggiata al cornicione.

Borbottando un «sì, grazie,» Elettra scelse con cura gli indumenti puliti dal mucchio. Scartò tutte le magliette a maniche corte, così come i pantaloni troppo attillati, e optò per una camicetta bianca che Altair aveva dovuto comprare in occasione di un colloquio di lavoro – non che si fosse mai presentata, non le piaceva l'idea di fare da babysitter ai figli smocciolosi di una famiglia benestante. Si era perfino dimenticata di avercela.

Cercò nel cassetto della biancheria del comodino e lanciò le prime cose che trovò. Quelle caddero sulla testa di Elettra, che emise uno sbuffo mentre se le toglieva di dosso.

«Grazie,» borbottò ancora, a denti stretti.

Altair alzò le spalle e sprofondò con il sedere sul materasso. «Quando hai finito, non ti azzardare a mettere quella merda che hai addosso nella lavatrice, c'è già della roba mia e non ci tengo a sapere di cadavere.»

L'altra la osservava da dietro il visore. La luce azzurra dello schermo si accendeva e spegnava a intermittenza. «E cosa dovrei farci?»

«Niente, lasciali lì. Poi ci penso io.»

Elettra non si mosse per alcuni istanti, come se si fosse congelata sul posto. Alla fine sospirò e annuì, poi si rinchiuse nel bagno. La chiave girò nella toppa almeno tre volte – temeva che Altair piombasse dentro mentre si lavava?

Altair trovò una lattina di Coca nel frigo. Sollevò la linguetta e se la portò alle labbra, tracannando almeno la metà della bevanda in una botta. Accese la televisione sprofondando di nuovo sul letto, proprio quando dall'altro lato della porta giunse un urlo. Non trattenne un ghigno. «Ah, già, la caldaia è rotta!» gridò.

«Grazie per avermelo detto subito!»

Quante storie che faceva, quella. Per essere una senzatetto abituata a vivere per la strada, aveva troppe pretese.

Navigò fra i canali, ma non davano nulla di interessante: telegiornali in cui si lamentavano di una qualche ibrida creduta morta in libertà, film vecchi di secoli in cui i protagonisti si mettevano le corna a vicenda senza sosta e un documentario sulla Tempesta.

«Per alcuni anni dei ricercatori hanno creduto che l'acqua piovana raccolta da fuori la cupola fosse il motivo per cui nascono i Figli della Tempesta, o ibridi,» diceva uno stronzo con un ridicolo parrucchino in testa e il microfono spiaccicato contro il naso. «Si pensava infatti che la depurazione non bastasse a liberare l'acqua dagli influssi della Tempesta. Si è poi scoperto che non c'è assolutamente alcuna correlazione fra i due fenomeni. Di fatto tutt'oggi non sappiamo di preciso perché alcuni individui vengano scelti...»

Altair premette un tasto sul telecomando. La scena di una donna che si accasciava fra le braccia dell'amante e lo pregava di non lasciarla andare la disgustava, ma almeno non le faceva ribollire i fulmini.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now