Capitolo 4

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Un intruglio di energia e fulmini rossi che parlava, ecco che cos'era quella che aveva davanti: una creatura fiera, avvolta nel buio del mondo, un faro luminoso nella notte. Fulmini che non controllava, perché si agitavano con la stessa forza della Tempesta nonostante fossero sepolti al suo interno.

Elettra spostò tutto il proprio peso sul bastone. Anche dopo che la luce dell'altra sparì dalla visuale, non riusciva a smettere di fissare il nulla in cui era stata.

Come faceva, lei, a vivere una vita normale? I Figli della Tempesta si dovevano nascondere, eppure quella sconosciuta se ne andava in giro come se nulla fosse a mostrare al mondo la propria forza. Ed era immensa, eccome se lo era. La sua sola vista le bruciava gli occhi, la sua sola presenza emanava tanta di quella vitalità da risvegliarle i fulmini sopiti dentro di sé.

Elettra strinse il bastone sempre di più, fino a che nelle vene non iniziò a scorrerle lo stesso freddo della sua superficie. I palmi però le sudavano.

Sarebbe mai potuta essere così, lei? Si portò una mano al petto, afferrò il tessuto del maglione, ruvido e sudicio.

No. Lei non si lasciava andare alla forza dei fulmini. Anche se tenerli spenti e tranquilli in fondo al suo cuore le sconquassava le membra, come se qualcuno continuasse a prenderla a martellate dall'interno. Chiunque fosse l'ibrida che si era allontanata sulla sua moto rombante, forse aveva trovato il proprio equilibrio nella sua mancanza di controllo.

Elettra doveva trovare il proprio.

Tastò il pavimento con il bastone. Quei ragazzini le avevano fatto perdere del tutto il senso dell'orientamento: si stava dirigendo verso un negozio di televisioni che vedeva sempre, prima che il mondo piombasse nel buio, ma quelli l'avevano accerchiata all'improvviso e ora non sapeva più dove fosse.

Reclinò la testa. Una luce debole e lontana risplendeva in alto, oltre la cupola che non scorgeva. Poi un tuono si abbatté proprio sopra di lei. Sembrava che la sua sola presenza l'avesse attratto, no, che il suo solo sguardo l'avesse chiamato. Dei brividi le percorsero la nuca, e lei chiuse le palpebre, godendosi il riverbero bianco oltre la sua stessa pelle, come se non fosse mai accaduto nulla, come se non avesse mai perso la vista.

Un'altra folgore piombò sulla cupola, con più vigore della precedente. Elettra riaprì gli occhi. Fu solo per un istante, ma la strada assunse una forma: le vetrine dei negozi, il marciapiede sotto di lei e le macchine parcheggiate. Non colse altro prima che il buio tornasse, e così le bastava, perché il negozio di televisioni che tanto cercava era proprio lì accanto.

Si avvicinò alla vetrina alla sua destra. Allungò una mano e procedette a piccoli passi finché le dita non incontrarono la superficie liscia della vetrata. Lasciò la presa sul bastone, ascoltò il rumore che produsse cadendo a terra, le sue vibrazioni. Appoggiò entrambe le mani sul vetro, ne saggiò la consistenza. Ci si abbandonò sopra con la fronte.

Nessuna voce giungeva dall'altra parte. Il notiziario parlava in silenzio, affidava le informazioni a delle scritte che lei non poteva leggere. Lo sapeva, che ci sarebbe stata quella possibilità. Lo sapeva, che forse il proprietario avrebbe tenuto il suono spento, ma non aveva potuto fare a meno di provarci.

Fece scivolare le mani giù. Le dita le tremavano e la gola le divenne arida. Tentare di inghiottire della saliva per darsi sollievo non servì a nulla, perché non ne aveva abbastanza, di saliva.

Un altro tuono illuminò il cielo. Elettra captò la lucentezza degli schermi, e nient'altro. I fulmini le premevano contro lo sterno. Non ricordava di averli mai sentiti tanto disperati di uscire, di scatenarsi. Si conficcò le unghie sporche nel braccio, assaporò il dolore e sperò solo che la nuova ferita appena aperta non si infettasse. L'energia che le rombava dentro si placò, quel tanto che bastava per permetterle di tirare un sospiro di sollievo.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now