Capitolo 8

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Vega odiava quella canzone. I suoni sintetici e il battito costante e veloce gli risvegliavano il mal di testa sempre. Si premette le dita sulle palpebre chiuse, nel tentativo di far cessare il pulsare delle vene sulle tempie.

Niente. Doveva soffrire e basta. Non aveva altre alternative.

Agguantò il bicchiere di scotch di fronte a sé e lo ingurgitò tutto in un sorso. Gli bruciò la gola nello scendere giù, ma andava bene così. Si concentrò sulla sensazione del liquido che lo attraversava e finiva nello stomaco, dove sostò per un paio di secondi, prima che il calore svanisse.

Miura raddrizzò la schiena, all'altro capo del tavolino. Perfetto, nella giacchetta bianca e con il nodo della cravatta appena un po' troppo sciolto. Un difetto appena visibile, calcolato. L'esatto opposto del pezzo di stoffa dai colori sgargianti che pendeva dal collo di Vega come la bandiera dei disattati.

Il gomito di Miura poggiava sulla balaustra alla sua sinistra. L'uomo guardava giù; Vega si sporse, e si perse nel ballo frenetico e scombinato delle persone al piano inferiore. Le luci intermittenti regalavano degli scorci delle loro movenze. Disassemblavano la danza in una serie di fotografie che scorrevano in velocità. Una simulazione del movimento, ecco cosa gli sembrava di guardare.

«La solita emicrania?» Miura parlò piano, eppure la sua voce giunse forte e chiara. Era come se viaggiasse su una frequenza a parte, rispetto al resto dei rumori, una frequenza che gli risuonava direttamente nel cervello.

Vega si passò la lingua fra le labbra. Secche, nonostante avesse appena bevuto. «La musica di merda non aiuta.»

Miura si tirò su una manica e prese il proprio bicchierino, ancora pieno. «A me piace. Rispecchia la vita della città: frenetica, costante, con un tocco di oscurità nascosto nel suo cuore, che tutti sentono, ma che nessuno vuole vedere.»

«Adesso ho capito perché mi fa così schifo allora.» Poggiò quanto rimaneva dello scotch sul tavolino.

«Dovresti scioglierti un po', sei troppo rigido, è questo il tuo problema.» Miura abbozzò un sorriso. Stonava troppo con i lineamenti ossuti che si ritrovava. Agitò il bicchierino e fece girare il liquido al suo interno. «Quand'è stata l'ultima volta che ti sei divertito?»

Vega sospirò. La canzone terminò proprio in quell'istante, ma quella che iniziò subito dopo era ancora peggio. Chiuse pollice e indice sulla radice del naso. «Ho altre cose a cui pensare,» rispose, anche se sapeva che corrispondeva al vero solo in parte.

L'ultima volta che si era divertito?

Ci rifletté per davvero, ma non gli sovvenne alcun ricordo allegro. Nessun momento in cui il mondo avesse smesso di ripugnarlo e si fosse goduto i respiri che prendeva.

Era mai stato felice di sentire il battito del proprio cuore?

Contrasse la mascella e scandagliò ogni singolo graffio sul tavolino. Uno in particolare percorreva il vetro in una linea quasi perfetta che univa il fondo del suo bicchiere alla mano tamburellante di Miura.

«Dico solo che dovresti pensare anche a qualcos'altro, oltre al lavoro,» disse l'altro. «Non fraintendermi, sei uno dei miei uomini migliori, e sono davvero contento di vedere che sei così ligio al dovere, però il troppo rischia di offuscare la tua visione delle cose.» Inclinò la testa da un lato. «Capisci cosa intendo?»

Ecco dove voleva arrivare.

Un guizzare dei fulmini sotto pelle gli rizzò i peli delle braccia. Vega strinse il pugno, lo riaprì, lo strinse di nuovo, finché le saette non si placarono.

«Quello che voglio dire...» Miura si prese una pausa per sorseggiare lo scotch. «Quello che voglio dire è che magari non avresti questi inopportuni attacchi d'ira ingiustificati se ti permettessi di sfogarti in altre maniere, ogni tanto.»

La Voce della TempestaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora