Capitolo 12

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Un odore di fumo di sigaretta e olio di motore volteggiava nell'aria. Un cambiamento piacevole, dopo la puzza dei corpi sudati dei senzatetto e dell'immondizia ammucchiata ovunque, che Elettra accolse di buon grado. Soltanto dopo arrivò il retrogusto di un profumo femminile, non troppo costoso, di quelli che si trovavano in offerta nel reparto per ragazze.

La mano di Nim le scivolò dalle dita. Elettra la strinse di nuovo, per impedirle di sgusciare via una seconda volta. Era umidiccia, e la sua presa inconsistente. Però il suo calore contro la pelle le piaceva, le ricordava la gentilezza di sua madre.

Risuonava un tintinnio che si interruppe quando Nim si schiarì la gola, ma al suo posto un frastuono di metallo e ferro che collassava su se stesso bruciò le orecchie di Elettra.

«Ehi, che ci fai qui a quest'ora? Non ci vai a scuola?» La voce roca apparteneva a una donna, di che età però non avrebbe saputo dirlo. Se avesse dovuto attribuirle un colore, avrebbe scelto il viola.

Nim si fece più vicina. Il profumo del suo shampoo le pizzicò le narici. Della Tempesta restava solo una scia, così flebile che Elettra non era nemmeno sicura di non essersela solo sognata. Forse le sembrava solo di percepire l'eco di quell'energia, forse sperava di sentirla, e il suo cervello le mandava l'illusione che ci fosse davvero.

La scatola nascosta nei meandri del suo corpo si scosse. Al loro interno, i fulmini spinsero per uscire. Solo una volta, ma fu abbastanza per lasciarla senza fiato.

«Oggi abbiamo scioperato,» rispose Nim, piano. Se non le fosse stata tanto vicina da percepire il suo calore, Elettra non l'avrebbe sentita.

L'altra non replicò. Produsse altri rumori assordanti di cocci che urtavano fra di loro.

Elettra seguì la scia dei suoi movimenti con il corpo e la testa, come se davvero potesse vederla, o almeno ci provò. Se fosse davvero nel punto vuoto in cui i suoi occhi sostavano non lo sapeva.

Nim scivolò di nuovo via da lei. Questa volta non la fermò. «Ti ho portato la donna di cui ti ho parlato.»

«Oh.» Seguì ancora il frastuono di un mucchio di cianfrusaglie che venivano spostate, sempre più vicine. La sconosciuta fronteggiò Elettra, la sua presenza emanava il miscuglio di fumo e profumo. «È una senzatetto.»

«Sì. È un problema?» Nim suonava più lontana.

Elettra afferrò la stoffa della gonna. Una macchia umida le impiastricciò le dita della mano destra, e non trattenne una smorfia. Qualunque cosa fosse, la voglia di togliersi tutto di dosso le agitava i fulmini. Una doccia. Non chiedeva chissà cosa, solo una misera doccia per ripulirsi dagli strati di sporco che ricoprivano la sua persona.

Si chiese che genere di puzza portasse con sé. Il suo naso era troppo abituato ormai, ma gli altri come la percepivano?

Si strinse nelle braccia. Il peso dello sguardo della sconosciuta scomparve, assieme alla sua presenza, ora tornata oltre chissà quale cumulo di oggetti. Il suo odore però le arrivava ancora.

Anche il tanfo di Elettra la raggiungeva nonostante la distanza?

«Non è che sia un problema, è solo che non ho i soldi per costruirle un visore di tasca mia,» disse la sconosciuta.

Elettra lasciò ricadere un braccio lungo il fianco, mentre con l'altro continuava a proteggersi da un mondo che non vedeva. «Quale visore? Nim, dove siamo?»

Un regalo per ripagarla della sua gentilezza, ecco cosa Nim le aveva detto di avere in serbo per lei. Qualcosa di diverso dal piatto di pasta che le aveva portato. Elettra sperava in un bagno caldo, dei vestiti o anche solo in una tazza di tè in un bar. Anche se forse non sarebbe stata una buona idea, mostrarsi in pubblico.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now