Capitolo 41

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«Impossibile prelevare il denaro richiesto. La sua carta di credito è stata bloccata.»

Con il dito ancora premuto sul pulsante del terminal, Vega fissava lo schermo senza vederlo davvero. Le stesse parole della voce robotica e monotona lampeggiavano davanti a lui. Parole che non significavano nulla. Parole senza senso, perché al loro posto ci sarebbero dovuti essere dei numeri e un ringraziamento.

Non possedeva più nulla. Ma la cosa che più di tutte lo innervosiva, la cosa che lo rendeva furioso, era la consapevolezza che quel momento sarebbe arrivato, presto o tardi. Cosa si era messo in testa di fare, scappando all'altro lato della città?

Allontanò il dito dal pulsante, solo per sferrare un pugno contro lo schermo. Non bastò a romperlo né a sfogare la rabbia che gli gorgogliava sulla bocca dello stomaco. Così colpì ancora, e le parole si disfecero in un ammasso di pixel sotto il suo sguardo.

Certo che era proprio uno stupido.

Convinse a fatica la macchina a ridargli indietro la carta. Non che servisse a qualcosa ormai, ma nel portafogli teneva un taschino appositamente per quella, e senza gli sembrava mancasse qualcosa. Così la rimise lì, proprio sopra la carta d'identità falsa. Riponendo tutto nella tasca del pantalone scuro, lo sguardo gli capitò sui graffiti che decoravano il muro intero. Parolacce distorte dietro i tubi, disegni osceni che accerchiavano un vecchio cartello illeggibile.

Nuova Folk era una città grande, eppure faceva schifo allo stesso identico modo ovunque si andasse. Magari era solo la gente che l'abitava a essere marcia, dopotutto ospitava persone come lui.

L'urgenza di rompere qualcosa, qualsiasi cosa, gli pizzicava i palmi. Tante piccole formichine gli zampettavano fra le dita, e lui sapeva che solo spappolare la testa di Miura contro la forma fallica dipinta sul muro le avrebbe fermate.

Lo vide accadere un'infinità di volte, proprio lì, in quel momento. Il sangue schizzava ovunque, e la pelle giallognola di Miura mutava, assumeva un colore più scuro. Il naso si allargava, i capelli sparivano per lasciare spazio a una nuca rasata. Poi tornava a essere lui, con la guancia premuta contro la parete e la bocca aperta per lasciar uscire un grido.

I suoi problemi sarebbero terminati, se lo avesse fatto per davvero? Se Miura fosse morto, Vega sarebbe stato libero. Ma aveva già assaggiato la libertà e non era stato in grado di affrontarla.

Con o senza Miura, lui restava il solito incapace. Sebbene il solo pensiero gli provocasse una fitta al petto, riuscì anche a scacciare le formiche, così rilassò un poco i muscoli e si incamminò sotto i lampioni dalle luci malsane.

Nessuno si aggirava in quel quartiere, nonostante la sera fosse ancora giovane. Dalle finestre giungeva il riverbero delle illuminazioni degli interni, assieme a delle voci sparse qui e lì. Una donna rideva in maniera sguaiata, e Vega strinse i denti infastidito finché non smise. Rumori di piatti e posate lo accolsero sotto una veranda. Un magone gli risalì per la gola.

Quando arrivò il miagolio, nemmeno si girò, non all'inizio. Rallentò il passo, però, finché non ne udì un altro. Poi un altro. E un altro ancora.

Timido. Piccolo. Spaventato.

Lo trovò dentro una scatola di cartone, con il musetto affacciato sul bordo. Il nasino rosa sniffava l'aria senza tregua e la testolina pelosa si inclinò non appena Vega si avvicinò. Gli occhi azzurri spiccavano sopra il bianco sporco del suo pelo.

Vega si abbassò, tenendosi i pantaloni sollevati con una mano, e gli strofinò le dita davanti ai baffi, ma il gattino si lasciò ricadere all'interno della scatola.

Gli venne da ridere e, anche se trattenne l'istinto, sorrise per la prima volta dopo settimane. Bastò tanto poco perché gli cigolassero le guance. Fu fastidioso, in realtà, ma non ci fece troppo caso perché era troppo impegnato ad acciuffare il gatto dal fondo dello scatolone.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now