Capitolo 45

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Il modo in cui Miura piombò a terra, con il sangue che gli schizzava dal naso come una fontana, fu la cosa più esilarante che le capitasse di vedere da giorni. Atterrò prima di tutto di culo, e l'intero corpo gli sussultò per il contraccolpo.

Altair agitò la mano con cui l'aveva colpito lungo il fianco. «Ohi, ho saputo che le due scartine avevano bisogno di qualcuno che sappia menare.» Puntò Vega con l'indice. «Avevo capito che vi avrei trovati a scazzottarvi, non a limonare.»

Lui emise un verso pieno di esasperazione; Elettra invece si concesse una risatina. «Altair, che ci fai qui?»

A braccia spalancate, Altair molleggiò sulle gambe. «Secondo te? Sono venuta ad ammazzare il vecchio stronzo.»

Il vecchio stronzo in questione si prendeva il suo tempo per tamponarsi il sangue dal naso con la manica. Il bianco immacolato della sua giacchetta di merda non era più così immacolato, finalmente. Peccato che le macchie stonassero con la cravatta fosforescente – a fiori, quel giorno, un motivo perfetto per le vestaglie delle nonne.

Un fascio di luce illuminava un lato del volto di lui e il turbine di polvere che lenta gli scendeva addosso. Rachitico com'era, Altair si stupì di vederlo rialzarsi in piedi senza nulla di rotto.

Allo stesso tempo, bastò tanto poco per risvegliarle i fulmini: presero a scorrerle lungo le braccia, le gambe, il collo, e le sollevarono appena qualche ciocca di capelli. Fece schioccare le nocche. «Allora, come preferisci morire? Fritto o a spezzatino?»

Miura sorrise. Lo stesso sorrisetto del cazzo che mostrava sempre quando si sentiva superiore. Da compiaciuta testa di merda. «Speravo di incontrarti, Furia, anche se forse sotto circostanze meno violente. Ma a pensarci, tu e la violenza siete praticamente sinonimi.»

Altair roteò gli occhi. «Se devi fare uno di quei discorsi merdosi da cattivi stereotipati, tienitelo per te, vecchio. Io non sono abbastanza stereotipata per farmi due palle ad ascoltarti.»

«Usavo solo la scusa per riprendere fiato, ma se preferisci andare dritta al punto...» Indicò Vega con indice e medio uniti, come un personaggio dei cartoni animati pronto a mandare un qualche raggio magico. Scagliò solo un paio di saette pigre che gli sparirono nella fronte.

Subito dopo, un grido, e Vega si afferrò la testa con entrambe le mani. Un attimo ancora e divenne una statua tremolante.

«Voglio vedere come ti ribelli a questo,» disse Miura. Agitò l'intero corpo come un piccione bagnato che tentava di asciugarsi. «Vi consiglio di non fare un altro passo, o potrei fargli esplodere i neuroni di informazioni. Non è una bella morte, ve l'assicuro.»

Ecco il trucco simpatico di cui parlava Haruka. Un bel modo di morire, un sovraccarico del cervello. Adatto a Vega, questo di sicuro.

«Aspetta,» iniziò Elettra.

«Hai sbagliato solo un dettaglio,» la interruppe Altair. «Non me ne frega un cazzo se quello vive o muore.»

«A te forse no, ma a qualcun altro sì.»

Senza spiegazioni, Elettra si mise sulla strada. Non portava il visore, presentava un paio di bruciature sul maglione ed esibiva una scarica di fulmini fra le mani. Davvero stupido, da parte sua, farsi comandare dal vecchio stronzo solo per salvare il culo a un depresso come Vega. Una batosta ben assestata sarebbe stata sufficiente a far pentire il vecchio di essere nato, eppure seguiva i suoi ordini.

«Se la fermo, lo lascerai andare?» chiese Elettra.

Miura emise una risatina soddisfatta. «Se la fermi e se mi dici dov'è mio figlio.»

Esitazione da parte di lei. Valutava qualcosa, e Altair ne approfittò per scrocchiarsi le nocche.

«Perfetto,» disse Elettra.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now