Capitolo 32

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Vega le aprì dopo un paio di minuti. Comparve davanti alla soglia, avvolto in una felpa e con un paio di occhiaie vistose. La sua espressione vacillò qualche istante davanti a lei e i lineamenti faticarono ad aprirsi in un mezzo sorriso di circostanza, come se gli costasse uno sforzo immane anche solo ricordarsi come si esprimessero le emozioni umane.

«Ciao,» le disse, piano, la voce roca. Rientrò con il busto e buttò un'occhiata alla parete. «Sei arrivata presto.»

Elettra racchiuse il mignolo nell'altra mano e prese a torturarlo e a sfregarlo finché non iniziò a bruciare. «Sì. Mi andava di prendere una boccata d'aria, così sono uscita prima.»

Una verità solo per metà, la sua. Altair era rincasata prima del solito dal lavoro, lamentandosi di qualche casino per cui rischiava il posto. Non aveva specificato cosa fosse accaduto, tuttavia dato il suo umore Elettra immaginava almeno una variabile infinita di ipotesi. Si stupiva che con lei dietro il banco qualcuno si recasse ancora nel fast-food in questione.

Dopo una serie di bestemmie, Altair era crollata sul letto accanto a lei. Se n'era stata in silenzio a fare zapping selvaggio fra i canali, ma Elettra la sentiva troppo vicina, la sua energia pungente. Se solo il sentore della Tempesta di Altair non fosse stato così forte, forse avrebbe potuto ricominciare ad ascoltare il suo audiolibro in santa pace.

Invece non l'aveva sopportato. La distraeva, la sua sola presenza tendeva l'aria attorno a loro e la rendeva irrespirabile.

Vega le fece cenno di entrare e si scostò per lasciarla passare. Elettra si addentrò nella casa tranquilla e spoglia toccando lo schermo del visore con fare distratto. L'ambiente profumava di deodorante e, quando la superò per raggiungere il divano, Vega sparse odore di sandalo.

«Ti ho svegliato?» chiese lei, in piedi accanto alla porta chiusa.

Lui stropicciò un cuscino nero e lo ripose sul divano. «No, no, ero sveglio.» Indicò l'arcata che conduceva nel corridoio. «Preferisci stare qui o andare in cucina?»

Elettra si tirò la manica a coprirle la mano. «Va bene anche qui.»

«Quindi, cos'è che dobbiamo fare?» Si massaggiava una tempia con movimenti lenti e circolari.

«Sei sicuro di sentirti bene? Se preferisci, possiamo anche fare un'altra volta.» Tornò a martoriarsi il mignolo. Lo controllò velocemente solo per scoprire che era arrossato. Ecco perché le bruciava. Lo lasciò stare e nascose la mano dietro la schiena, per evitare di ricominciare.

Vega lasciò scivolare le dita giù dalla tempia. «Non serve. Tanto la testa mi scoppia sempre, ormai ci sono abituato.»

Non la stupiva che soffrisse di emicranie. A furia di stare rigidi tutto il giorno, i muscoli si ribellavano con dolori fastidiosi che si irradiavano verso la testa. Elettra ne aveva sofferto per un periodo, quando gli esami dell'università le sembravano ostacoli insormontabili e i pomeriggi chinata sui libri non terminavano mai.

Un tempo quelli rappresentavano dei veri problemi.

«Com'è andata con Evelyn?» le chiese.

«Bene. Pensa che dovremmo raccogliere più informazioni per spargere la voce in giro e alzare l'attenzione su "quegli stronzi che creano creme che fanno venire le rughe".» Mimò il gesto delle virgolette, poi si tirò su i pantaloni troppo lunghi. «Non fare domande, fidati, è meglio.»

Vega abbassò le sopracciglia. «Li avrebbero già fatti chiudere da un pezzo se producessero una crema del genere.»

«Be', riesci a immaginare niente di peggio?» Elettra si pizzicò la guancia per attirare l'attenzione di lui sulla propria pelle liscia e giovane. «Pensa, una povera ragazza prende una crema idratante e si ritrova con le rughe a vent'anni o meno. Sono danni psicologici gravi.»

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now