Capitolo 13

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«Bel posto di merda, la musica fa davvero cagare.»

Nel sentire quelle parole, Vega sollevò la testa dal bicchiere e cercò nella calca la donna che aveva espresso il suo esatto pensiero. La trovò al tavolo adiacente, in piedi davanti alla sedia vuota; di fronte a lei, una ragazzina si mordeva le labbra, composta al suo posto.

Entrambe sfoggiavano dei capelli rossi, che tuttavia apparivano spenti in confronto alle luci psichedeliche del locale.

La più grande delle due batteva il piede a terra allo stesso ritmo del basso della canzone che entrava direttamente nel cervello. Le dita tamburellavano sullo schienale, ma non sottostavano allo stesso tempo. «Quindi, chi stiamo aspettando? Il tuo nuovo fidanzato?»

La ragazzina stirò le labbra in un sorriso stridente. «Arriva fra un po'.»

«L'hai già mollata, la tizia cieca?» Urlava così forte che a Vega pareva di avercela lì a fianco a gridargli nell'orecchio.

«No, non stiamo...»

«Comunque non sono sicura che troverai qualcuno di decente, qui.» La più grande sollevò le braccia e stirò il collo. Scandagliò la pista, dove la gente strisciava da un corpo all'altro in modo frenetico, eppure privo di energia.

Vega li poteva quasi vedere, i cavi attaccati ai punti vitali di tutte quelle persone, che succhiavano via ogni briciolo di elettricità che permetteva loro di muoversi. Nessuno di loro sarebbe tornato a casa indenne dalla nottata. Una volta scambiata la loro vitalità con di alcol e droghe, si sarebbero buttati sui rispettivi letti e sarebbero collassati.

«Cosa cazzo è, la festa dei non morti?»

Vega accantonò il bicchiere sul tavolino. Quello della tizia dai capelli rossi era un buon modo per sintetizzare il suo pensiero. Ci avrebbe aggiunto una nota di acidità in più, ma tutto sommato funzionava.

«Puoi andare se vuoi, Alai,» azzardò la minore. Al contrario dell'altra, teneva il capo chino, incassato nelle spalle. «Mi riporterà a casa lui. Grazie per avermi accompagnata, anche se davvero non serviva.»

Vega alzò un sopracciglio, solo al proprio tavolo. Inclinò la testa e strinse gli occhi per mettere a fuoco la figura slanciata della donna. La sua giacca rifletteva la luce intermittente della pista.

«Hai paura che se mi vede ti lascia per me?»

Che razza di imbecille.

Lui chiuse le palpebre e si passò la lingua fra le labbra. Fletté le dita, mentre i fulmini dentro di lui smettevano di borbottare e si acquietavano.

La minore coprì una risatina con la mano. «Dico davvero, non serve che resti qui. Puoi andare a divertirti. Non mi avevi detto che non vedevi l'ora di conoscere qualcuno di...» Aggrottò la fronte e mimò il gesto delle virgolette, «...stimolante

L'altra sbuffò l'aria da un lato della bocca. Anche senza vederla in faccia, Vega trovò fin troppo facile immaginare il suo ghigno: troppo fastidioso per toglierselo dalla testa, dopo quella notte al fast-food. «Stimolante non è una parola che userei, ma sì, rende l'idea.» Si diede dei buffetti sulla manica, come per scacciare della polvere. «Se scopri che il tipo in realtà è uno stronzo e ti mette le mani addosso, cercami al bancone. Un bel calcio nelle palle non glielo toglie nessuno.»

Vega trangugiò il cocktail nel proprio bicchiere. Il cameriere aveva scelto per lui, perciò non sapeva nemmeno il nome del liquido che ingurgitò. Oltre all'amaro e al bruciore tipici dell'alcol, non riconobbe nessun sapore. Si passò la lingua sui denti, scuotendo la testa con una smorfia.

La donna dai capelli rossi sparì nella calca di zombie. Si faceva strada a testa alta, le mani nelle tasche, aggirando ogni singola coppia con l'agilità di un felino.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now