Epilogo

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«Potrei inserire delle nuove funzioni. Perché limitarsi a vedere come tutti quando potresti avere anche la realtà aumentata?» Seduta al tavolo, Keira agitava le mani in gesti concitati. La sigaretta che teneva stretta fra le dita spargeva un rivolo di fumo che danzava verso il soffitto.

Evelyn le posò le dita su un braccio, e l'altra si fermò. «Dipende, non credo che Elettra sia interessata a vedere le donne senza vestiti.»

Altair schioccò la lingua, sporgendo il busto in avanti, all'improvviso interessata. «Che?»

«Ne parlavamo ieri,» le spiegò Eve. «Diceva che si possono fare un sacco di cose, con la realtà aumentata, compresa questa. Mi sembrava anche troppo gasata da questa, anzi.»

Keira si schiarì la gola. «Era un'idea come un'altra. Ho parlato anche di calcolare valori di elettricità nei corpi e...»

«Sì, ma di quelle non ci ho capito niente.» Eve liquidò l'argomento scacciando una mosca invisibile.

Altair diede di gomito a Keira. «Se ne fai uno, non morire di infarto quando ti giri verso di me.»

«Al massimo devi dirlo a Elettra,» le fece notare Eve.

«Al momento non sono interessata all'articolo.» Elettra tastò la teiera a lungo, prima di trovare il manico. Versò con attenzione il liquido nella tazza, ma non la riempì, si fermò a metà.

Sotto il tavolo, Altair allungò un piede per cercare il suo. Le sferrò un calcetto sullo stinco, mentre Elettra si portava la tazza alle labbra; come risultato, lei sussultò e le gocce di tè si sparsero sulla tovaglia. «Al momento?» la prese in giro Altair.

Elettra le rivolse un sorriso gelido. «Quante volte ti devo rifiutare prima che tu te ne faccia una ragione?»

«Uh, qui la questione si fa interessante.» Keira e Eve poggiarono il gomito sul tavolo, reggendosi il mento, e sbatterono le palpebre all'unisono con espressioni da ebeti. Due entità fastidiose divennero un'unica, gigantesca rottura di palle.

Il trillo del campanello però interruppe il discorso. Elettra tirò un sonoro sospiro, forse di sollievo, forse di esasperazione. Keira si alzò e andò ad aprire, e quando Vega entrò – con un gattino dal pelo bianco rannicchiato fra le braccia – Evelyn non si lasciò sfuggire l'occasione.

Scattò in piedi, i capelli biondi che le oscillavano sulla schiena. «Sei arrivato appena in tempo, Elettra ci stava provando con Altair.»

«Cosa?» fece lui. «Ma non dovevate discutere del visore nuovo?»

«Sì, ma fra una cosa e l'altra. Non è colpa di Elettra, comunque, è Altair che è tensione sessuale che cammina.»

«È la maledizione dell'essere figa,» rispose Altair con una strizzata d'occhio. Poi puntò il gattino. «Quella è la tua amante?»

Vega roteò gli occhi al soffitto e si sedette accanto a Elettra. «È un lui.»

«Il tuo amante, allora.»

«Si chiama Romeo, e non è il mio gatto. L'ho trovato per strada, era malato e l'ho curato, ma non ho intenzione di tenerlo.»

Il gattino si stiracchiò un po'. Emetteva lo stesso suono di una caffettiera, in maniera costante, e la coda ondeggiava mentre lui si sporgeva verso Elettra. Le appoggiò la zampetta sul polso e provò a tirarla via subito dopo, ma lo stupido si era incastrato con le unghie nel maglione. Così finì solo per avvicinarsi ancora di più, finché Elettra non lo aiutò a liberarsi.

E allora lui le saltò in braccio. Lei lo accolse con un sorriso e una valanga di carezze. «Posso tenerlo io,» si offrì.

«Era quella l'idea,» rispose Vega.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now