Capitolo 44

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«Guardami,» disse Elettra.

Vega scrollò la testa con tanta forza da farsi male. Uno strato di polvere le sporcava le scarpe bianche e nuove. Presto si sarebbe aggiunto del sangue, e lui sperava solo che non appartenesse a lei. Con le saette di Miura che gli scombussolavano i pensieri, gli ordinavano di attaccare, di torturare finché non avesse ottenuto l'informazione che desiderava, lui non poteva far altro che sperare di perdere.

Se Elettra fosse stata colei che poneva fine alla sua vita da miserabile, sarebbe andata meglio di quanto avesse mai desiderato.

Qualcosa scattò nella sua testa. Un comando. E Vega colpì di nuovo. Lo scudo urtò qualcosa di resistente, e i muscoli gli si irrigidirono per lo sforzo.

«Vega, guardami.»

Elettra questa volta non era volata via. Le sue scarpe si trovavano ancora lì.

Un sapore terribile gli riempiva il palato. Un fuoco gli ardeva sul fondo della gola, e il calore gli si sprigionava lungo tutta la trachea. Si sforzò di sollevare lo sguardo.

Elettra era lì, con alcune ciocche platino che le si alzavano sulla nuca e una barriera di fulmini che la proteggeva dall'attacco di Vega. L'energia che lui sentiva pulsare attraverso lo scudo e gli pizzicava le braccia apparteneva a lei. Descriverla gli sarebbe risultato impossibile, perché non la comprendeva appieno.

Differiva dalla sua. Elettra possedeva una fierezza che lui non conosceva. Allo stesso tempo quei fulmini emanavano una sofferenza che risuonava con lui.

Lei indietreggiò e la sua barriera si dissipò. «Vega, ascoltami. Non sei costretto a fare quello che dice. Lo so che ti sembra impossibile, ma puoi vincere.»

Il bicipite ebbe uno spasmo. Deglutendo, Vega negò ancora con un cenno del capo. «Non ci riesco.» Sono un buono a nulla era quello che avrebbe desiderato ammettere, ma Elettra ci sarebbe arrivata da sola.

«È inutile,» disse Miura. «Lui non è come noi, è nato per farsi dire dagli altri cosa fare.»

Elettra emise uno sbuffo. «Cos'è, un modo per pulirti la coscienza dopo avergli tolto il libero arbitrio?»

«Io non gli ho tolto proprio niente, la sua scelta l'ha fatta comunque. Fra me e te, ha scelto me.»

Scelto, certo. Come se gli avesse mai dato un'altra possibilità. L'unica decisione presa da Vega non solo era degna di un coniglio, ma era anche risultata in un fallimento totale.

Elettra conosceva la vicenda. Nessuno più di lei sapeva quanto stupido lui fosse. Quanto inetto. Quanto inutile. Quanto vuoto. Eppure, invece di ammettere la sconfitta di Vega, lei rise. Una risata tranquilla, divertita per davvero, con una nota di amarezza in sottofondo. «Lo sai, per un po' ho creduto che fossi un maestro nel far cadere gli altri nelle tue trappole psicologiche. Mi chiedevo come facessi a non sentirti una schifezza nel dire certe stronzate. Però ora ho capito: tu ci credi veramente.»

Come delle molle schiacciate troppo a lungo, i fulmini di Miura piantati nella testa di Vega scattarono ovunque. Gli graffiarono i pensieri, gli appannarono la vista. Elettra smise di essere Elettra e, per un paio di istanti, la sua figura lampeggiante divenne Nim, poi Tamaki, Liam e Butch.

«Tu credi davvero,» continuò Elettra, mentre le saette gli provocavano una fitta al centro esatto della nuca, «che gli altri ti scelgano

Alzare il braccio e tirare un pugno verso il viso di lei non fu un atto che Vega compì consapevolmente: si ritrovò così, a picchiare un muro di energia elettrica, a sopportare il bruciore delle saette che gli infiammavano le nocche. Per ritirarlo invece gli ci volle un impegno immenso; smettila, si ripeté mille volte, mentre ogni muscolo vibrava dallo sforzo. Finché non ci riuscì e indietreggiò, sebbene le serpi elettriche nella testa zigzagassero fra i suoi neuroni come palline di un flipper.

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