Capitolo 21

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Casa sua gli era estranea. Così si ritrovò a pensare Vega, seduto al tavolo della cucina, le mani in grembo, ad attendere. L'orologio digitale sul polso segnava le tre del pomeriggio. Esattamente mezz'ora prima, Nim si era allontanata per incontrare la persona che, secondo lei, li avrebbe aiutati. Quando sarebbe tornata lui non ne aveva idea: forse entro una decina di minuti, forse mai.

Tre bicchieri vuoti sul tavolo riflettevano la luce del neon. Rovesciati e attaccati l'uno all'altro, aspettavano accanto a una bottiglia di vino e una lattina di aranciata. Il resto della tavola gli parve all'improvviso troppo spoglia. Ci sarebbe stata bene qualche decorazione, magari una rosa finta che donasse un tocco di colore in quella casa sterile.

Quanto diceva di lui, quella stanza? Pulita e in ordine. Silenziosa. Vuota.

Vega fece schioccare il pollice. Ridicolo. Era davvero un uomo ridicolo. Quella casa lo rappresentava nel profondo, l'aveva plasmata, nel tempo, a propria immagine e somiglianza. Perciò, quando alzò gli occhi alla parete di fronte a sé e vide solo il bianco della vernice, gli venne da ridere.

Un quadro, ecco cosa ci sarebbe voluto per renderlo un luogo più confortevole. Eppure, in tutti queli anni non si era mai preso la briga di comprarne uno, perché gli era sempre andata bene così: una stanza senza personalità, senza valore. Una stanza funzionale, non bella, non piacevole, non accogliente. Funzionale e basta.

Il campanello ruppe il flusso di quei pensieri. Vega balzò sulla sedia. Raggiunse la porta e si fermò lì, con la mano che tremava a mezz'aria.

Tamaki, Liam e Butch lo stavano aspettando, perché ci metteva tanto ad aprire?

Ah, già. Il flash del loro sangue, dei loro cadaveri, lo risvegliò dal sogno in cui nessuno dei tre era ancora morto. Il cuore gli mandò una fitta che gli risalì lungo la gola e gli bloccò la saliva. Non sarebbero stati loro a tirarlo su di morale adesso. Nessuno lo avrebbe tirato su di morale.

Prese una boccata d'aria più profonda, e l'ossigeno gli provocò un'ondata di dolore tremolante nel petto. La maniglia gli congelò le dita. La girò e spalancò la porta.

Nessuno dei due visi che si ritrovò davanti gli alleviò il peso al torace. Né Nim, con le sue lentiggini e il sorriso così forzato che lui immaginò le dolessero le guance per lo sforzo, né l'altra donna, con i suoi capelli platinati e un visore che le copriva gli occhi. Riconobbe l'aura di quest'ultima, così composta e tranquilla da calmargli il respiro per un attimo.

«Eccola qui.» Nim allargò ancor di più il sorriso. «Vega, lei è Elettra. Ely, lui è Vega. Vi siete già... conosciuti

Se la ricordava bene. La senzatetto di quel giorno. Non poteva essere nessun'altra.

Elettra distese le labbra a sua volta, in maniera meno forzata di Nim, ma che la trasferì su un piano distante, freddo. «È un piacere.»

Vega annuì. Aveva i muscoli troppo rigidi. Era rimasto seduto immobile troppo a lungo. «Il piacere è mio,» disse, spostandosi per lasciarle passare.

Elettra lasciò l'onore a Nim, che superò Vega senza alzare gli occhi dal pavimento e si diresse spedita in cucina. La platinata si addentrò oltre la soglia e, al contrario, attese che il padrone di casa chiudesse la porta.

Lui si infilò le mani nelle tasche. Premette la lingua contro l'interno della guancia. Il visore di lei non gli permetteva di vederle gli occhi, ma lo fissava, e lui ricordava lo sguardo dell'altro giorno. Avrebbe preferito che Nim gli portasse chiunque, tranne lei.

Sopportò i brividi lungo la schiena e alzò un braccio nella direzione in cui era sparita la ragazzina. «Prego, di qua.»

La condusse in cucina. Nim si era già accomodata, faceva strusciare un bicchiere contro i palmi. Elettra scelse di sedersi accanto a lei, perciò a Vega restò il posto di fronte a loro. Lo stesso posto dove aveva atteso il loro arrivo.

La Voce della Tempestaحيث تعيش القصص. اكتشف الآن