Capitolo 35

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Il bip ripetuto delle macchine scandiva il ritmo dei suoi battiti. Vega aggiustò la presa sul mazzo di fiori; li stringeva troppo forte, e la plastica che avvolgeva gli steli si era sgualcita. I petali candidi dei gigli apparivano mosci sotto la luce asettica del corridoio. La signora che glieli aveva venduti glielo aveva assicurato: ottimi per augurare una pronta guarigione. Così li aveva presi, incurante del prezzo esagerato.

Fiori veri. Una rarità, a Nuova Folk, eppure il pensiero che non valessero abbastanza gli instillò il dubbio. Un regalo tanto banale esprimeva bene la sua mancanza di personalità, dopotutto.

Un mazzo dalla confezione stropicciata. Lo rappresentava tanto quanto la parete di bianca di casa sua. Avrebbe dovuto inserirci un biglietto, forse.

E proprio quando girò sui tacchi e un dottore gli passò a fianco senza degnarlo di un'occhiata, mentre i fulmini gli si intrecciavano in una lotta mortale nello stomaco, una voce superò la soglia della stanza.

«Sei sveglia!» Roca e tremante, la donna a cui apparteneva doveva aver trascorso le ultime ore in lacrime. «Come ti senti?»

Vega cercò il muro accanto a sé. Ci si appoggiò con una mano. Con l'altra allentò la presa sui gigli, e quelli quasi scivolarono, così le dita si serrarono di scatto. Il sordo spezzarsi di uno degli steli gli attraversò il braccio in un brivido.

Seppure Nim rispose alla domanda della donna, lui non la sentì.

«Quante sono queste?»

Per qualche ragione, Vega immaginò Altair e il suo dito medio oscillare davanti al viso della sorellina. Strinse con più forza i fiori. Riaprì le dita l'istante dopo, di scatto, e quelli gli caddero a terra, così si chinò a raccoglierli.

«Due.» La risposta di Nim. Flemmatica. Pigra. Non sprizzava certo la gioia che avrebbe dovuto.

I fulmini continuavano la loro danza tribale.

«Bene.» Una pausa, poi ripeté: «Bene,» disse ancora la donna, come se cercasse di convincersene. «I medici hanno detto che hai reagito abbastanza bene, ma se dovessi mostrare problemi dobbiamo avvertirli subito.»

Solo il rumore delle macchine impedì al silenzio assoluto di prendere il possesso della situazione. Quello e il parlottare nelle stanze a fianco, di cui Vega divenne consapevole in quel preciso istante. Prima era stato troppo impegnato a rinchiudersi in una bolla insieme a Nim e alla madre per rendersi conto che il mondo oltre quei confini esistesse ancora.

«Ancora non ho capito come hai fatto a trovare i soldi.» Lui si avvicinò di qualche altro passo alla soglia. La donna graffiò il pavimento con una sedia, poi seguì un tonfo. «Cos'è, credevi che non lo sapessi? Non sono così stupida da credere che certe operazioni siano gratis.»

«Sì. Lo so.» L'intonazione di Nim restava monotona. Dov'era la sua espressività? Sembrava un automa.

«Non voglio farti la predica, non mi fraintendere. Qualsiasi cosa tu abbia fatto, sono felice che stai bene. Davvero, io...» La donna tirò su col naso. «Ho solo paura di quello che succederà adesso. Se ti sei messa nei guai per arrivare a questa soluzione, io...»

«Non succederà niente.»

Se non fosse stata tanto lapidaria, forse i brividi non avrebbero attraversato le braccia di Vega con quella forza. Forse lui non avrebbe abbandonato ancora la presa sul mazzo di fiori. Forse il suo pomo d'Adamo sarebbe rimasto fermo, anziché ballargli lungo la gola.

«Sei sicura di sentirti bene?»

«Sì.»

«Ti dispiace allora se ti lascio qualche minuto? Voglio andare a prendermi qualcosa da bere.»

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now