Capitolo 9

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Altair controllò l'orario sullo schermo del telefono. Gli incontri erano cominciati da almeno dieci minuti. Merda. Le ci era voluto più del previsto per trovare gli indumenti adatti. Doveva riordinare quella gran cagata di stanza che chiamava casa, prima o poi, o sarebbe morta soffocata dal disordine. Una fine davvero ridicola, che Eve avrebbe definito "degna di lei".

Si rigirava le chiavi sulle dita con le spalle rivolte al portone di casa. Infilò il cellulare nella borsa sportiva, assieme al cambio di abiti, al deodorante e alle scarpe. I muscoli le tiravano ovunque. Dopo la sua sfuriata da Eve e Keira, le si erano formati almeno un paio di bozzoli sotto pelle.

Si diresse sul retro dell'edificio, lontana dagli schiamazzi dei clacson. Controllò che nessuno fosse nei paraggi. A esclusione di un topo che le sfiorò i piedi, la strada era libera. Con la moto sarebbe arrivata prima, certo, ma col cazzo che si lasciava sfuggire la possibilità di sgranghirsi per bene.

Spezzò il lucchetto che li teneva prigionieri, e i fulmini si scatenarono in una danza frenetica lungo il suo corpo. Chiuse gli occhi e si godette la sensazione dei muscoli che si distendevano. Un odore di plastica bruciata le si insinuò nelle narici, così riaprì le palpebre e ne cercò la fonte.

Cazzo. La borsa.

Una saetta si era trasferita sulla sacca; Altair dubitava di possedere ancora un telefono funzionante. Al suono di «Porca troia,» agitò la mano con cui reggeva la borsa in aria. Le ci volle più tempo del necessario a convincere i fulmini a ritirarsi un poco ed evitare che si espandessero sul braccio destro. Il bicipite si contrasse, stizzito.

Fortuna che fare il culo ad Haruka e a qualche altro sfigato le avrebbe fruttato qualche spicciolo. Se se la giocava bene, magari guadagnava anche abbastanza da potersi permettere un cellulare nuovo, dato che il suo aveva subito tanti di quegli urti che a malapena si leggeva ancora lo schermo.

Poggiò la suola contro la parete dell'edificio di fronte a sé. Le scariche elettriche la tennero incollata. Risalì il muro come se nulla fosse, ma a metà strada si ricordò che non aveva controllato di nuovo che nessuno la stesse guardando.

Buttò un'occhiata di sfuggita sotto di sé. Nessun rompipalle in vista. Ottimo. Era arrivato il momento di divertirsi.

Raggiunse il tetto di corsa. I nodi dei muscoli che le formavano i bozzoli sottopelle le mandarono delle onde di calore. Si sciolsero e si distesero, e l'aria che le fischiava nelle orecchie aumentava i livelli di energia, la istigava ad accelerare. La giacchetta aperta le svolazzava sulla schiena, schioccava a ogni suo movimento. Amava quel rumore.

Saltò da un tetto all'altro, senza preoccuparsi troppo della possibilità che le persone sulla strada notassero un agglomerato di fulmini ambulante. I tuoni si infrangevano sulla cupola, non molto più in alto della sua posizione, e le due luci si confondevano fra loro.

La palestra comparve in tutta la sua pacchiana bellezza. Un cartellone ne ricopriva metà facciata: una donna e un uomo senza maglia, dai muscoli scolpiti e oliati per bene, picchiavano un sacco da boxe con dei sorrisi da ebeti. Come se esistesse qualcuno pronto a sfoggiare un sorriso a trentadue denti mentre sferrava un pugno a piena potenza. Due scie di lampadine al neon percorrevano il bordo inferiore del cartello, e donavano una sfumatura rossa alla scritta "Kick Your Ass". Lampeggiavano appena, e almeno la metà delle luci era rotta da chissà quanto.

Se la pubblicità la repelleva, il nome della palestra le suscitò una risata.

Altair poggiò entrambi i piedi sul margine del cartellone. Le scariche elettriche le percorrevano ancora il braccio e le gambe. Inspirò a fondo, e le sentì strisciare di nuovo al loro posto, dentro di lei, nascoste dal resto della città. Chiuse il lucchetto e le lasciò lì, a crepitare all'interno di una cella che sperava avrebbe tenuto duro almeno per il resto della serata. Alcune ciocche di capelli restavano dritte, così ci passò una mano per cercare di calmarle.

La Voce della TempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora