Capitolo 6

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Il ronzio del frigorifero l'accolse al suo rientro a casa, accompagnato dal respiro pesante di qualcuno che dormiva ancora profondamente. Altair lasciò le chiavi sul tavolo e si chiuse la porta alle spalle, senza sbatterla come faceva di solito.

Andò verso il letto, dove Nim riposava sepolta sotto le coperte. La luce giallastra le rendeva la pelle di un colorito malsano, e per un attimo i fulmini borbottarono in una scarica di scintille dentro il suo stomaco. Come facesse quella marmocchia a non svegliarsi con la puzza di fritto che emanava dai capelli di Altair, lei non ne aveva proprio idea. Si sentiva come una gigantesca confezione di patatine ambulante.

Un cumulo di vestiti sporchi penzolava sul lato del materasso. Li prese e se li gettò su una spalla. Poi cercò qualcosa di pulito e si rinchiuse al bagno. L'acqua della doccia le mandò dei brividi lungo il corpo, e Altair si appoggiò alla parete e si morse il labbro per evitare di imprecare. Doveva far riaggiustare quella stupida caldaia, o presto o tardi si sarebbe trasformata in un pinguino che sprizzava scintille dalle ali.

Uscì con la pelle aggricciata e i denti che battevano. Sedette sullo sgabello accanto al lavandino, si afferrò una ciocca di capelli e se la portò sotto il naso. Annusò a fondo, ma le arrivarono solo scie di profumo di sapone, nessun retrogusto di hamburger. Si asciugò in fretta, si vestì e si pettinò prima di lasciare il bagno.

«Alai!»

Nim spuntava solo con il busto da sotto le coperte; delle righe rosse le decoravano tutto il lato sinistro del viso, e l'occhio le si apriva appena. Il destro invece era spalancato. «Sei tornata,» disse, la voce ancora impastata dal sonno.

Altair si sistemò l'orlo della maglietta, che le si era appiccato alla pelle bagnata e le lasciava scoperto il fianco. «Hai il sonno pesante, santarellina.»

«Che ore sono?» Scandagliò le pareti con lo sguardo, in cerca di un qualche orologio che non avrebbe trovato, e si passò una mano sul viso.

«È ancora presto.» Altair sbuffò da un lato della bocca, sollevando una ciocca che le pendeva sull'occhio. Alzò il pollice a indicare la stanza da cui era appena uscita. «Se devi andare al cesso, vai, poi ti riporto a casa, ma muoviti, ho delle cose da fare.»

Nim scostò le coperte, lenta. Tolse prima il piumino, poi le lenzuola, e liberò i piedi, uno alla volta, per poggiarli sul pavimento. Stirò le braccia sopra la testa, mentre Altair si batteva dei colpetti sulla gamba. «Ma tu non dormi mai?» chiese.

Lei terminò il movimento della mano e strinse le dita in un pugno. «Ho dormito l'altra notte.» Andò a sedersi sul tavolo. «Finché reggo, non ho intenzione di cagarmi le palle a rigirarmi nel letto.»

«Hai ancora problemi ad addormentarti, quindi.» Non era una domanda, e il modo in cui Nim distolse lo sguardo per pronunciare quelle parole le mandò una scarica dritta nel cervello. Fu solo un attimo, ma Altair fu costretta a chiudere le palpebre e affondarsi i denti nella lingua.

Quando sentì di essersi calmata, batté con forza le mani sul tavolo e balzò giù. «Allora, devi andare al cesso o no?»

«Vado, vado!» Nim perse ancora qualche secondo a indossare le scarpe. Un modello dalle suole basse e delle strisce gialle che le percorrevano in perpendicolare sui lati. Emettevano un bagliore appena percettibile, sotto l'illuminazione della lampadina.

La marmocchia si rinchiuse nel bagno. Altair cercò qualcosa da mangiare nel frigo, qualcosa che non sapesse di fast-food e che non fosse andato a male. Acchiappò la confezione del latte, già aperta. Se la portò al naso, ma non risaliva alcun odore – o forse era solo il suo naso che si era licenziato dopo aver lavorato tutto quel tempo alla griglia. Ne prese un sorso, giusto per bagnarsi le labbra. Lo assaporò qualche secondo sulla punta della lingua.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now