Capitolo 38

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Perché sono viva?

I tetti si susseguivano uno dopo l'altro. La pioggia si schiantava sulla cupola sopra di lei, batteva a un ritmo energico, e lei seguiva quella stessa velocità.

Me lo sono sempre chiesto. Ho sempre inseguito la vita, ho sempre cercato di capirla, perché non l'ho mai sentita vicina.

I tuoni rimbombavano. Se fuori dalla cupola o dentro la sua testa, Altair non avrebbe saputo dirlo. Non li distingueva dal pulsare del sangue nelle orecchie; non li distingueva dal battito impazzito del suo cuore.

Eppure mi ci aggrappavo. Mi ci sono aggrappata con tutta me stessa.

L'eco della vita di Nuova Folk suonava lontana. Procedeva normalmente, fra clacson e voci di persone che si incontravano e parlavano e andavano avanti come se nulla fosse.

Altair saltò su un cartellone pubblicitario. Rimase penzoloni, tenendosi al bordo con le unghie. La faccia gigante e sorridente di una stronza con un dentifricio in mano la abbagliava. Dal fianco le risaliva l'urlo di una ferita piangente.

Cercavo ogni pretesto per sentirmi viva. E quando ho scoperto del tumore, ero terrorizzata.

I fulmini che le circondavano i muscoli le diedero la forza, e Altair spinse verso l'alto. Fra un grugnito e una bestemmia, si tirò su. In piedi, sul bordo del cartellone, ne percorse l'intera lunghezza di corsa. Poi saltò ancora. Saltò verso il terrazzo adiacente. Rotolò sul pavimento e riprese la sua avanzata.

Volevo vivere. Perché ancora non avevo capito cosa volesse dire. Eppure anche adesso, continua a essere tutto così vuoto. Così insensato. Non credo di sopportarlo.

La ruota panoramica faceva capolino, oltre le vette dei palazzi. Svettava così alta che sembrava fondersi con la cupola. Le luci colorate che circondavano le cabine più alte si perdevano nel bagliore dei tuoni.

Mamma, papà, mi dispiace. Non è colpa vostra, sono solo io a essere sempre stata sbagliata. Vi ho sempre voluto bene. Scusatemi.

Più veloce. Doveva andare più veloce.

La pioggia continuava a cadere. Non la raggiungeva, non poteva, ma il fianco le si bagnò comunque. Solo che era una chiazza rossa a inzupparla, non l'acqua, e le dita le si macchiarono dello stesso colore quando osò toccarsi.

Ely, grazie. Anche se tu e gli altri non leggerete mai questa lettera, voglio dire che sei la persona più intelligente e gentile che abbia mai conosciuto, e ho sempre desiderato essere come te. Non meritavi di essere trascinata nei miei casini. Nessuno lo meritava.

Altair non si sentiva più le gambe.

Non si sentiva più le braccia.

Era solo un fulmine che sfrecciava, incurante di tutto. E anche se continuava a balzare ancora e ancora, a cambiare strada, la ruota panoramica non le toglieva mai gli occhi di dosso.

Vega, ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me. Scusami se ti ho incasinato la vita, scusami per tutto quello che ti ho fatto passare, per i tuoi compagni. Ma grazie per come mi facevi sentire al sicuro.

Più si avvicinava e più diventava grande.

Più si avvicinava e più era lontana.

La pioggia rallentava. I tuoni rallentavano. Perfino i loro bagliori duravano più a lungo.

Alai. A te devo tutto.

Si lanciò in picchiata da un tetto.

Forse qualcuno l'avrebbe vista. Non le importava.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now