Capitolo 30

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La nota che accompagnava il puntatore dello schermo copriva lo sgranocchiare di Evelyn. Quando Keira smise di fare zapping fra i titoli delle canzoni – o almeno, Elettra credeva che fosse questa l'origine del rumore – rimasero solo le mascelle di Eve intente a sbriciolare le patatine.

Elettra urtò la ciotolina nel tentativo di prendere qualche snack. Si ritrasse subito, borbottando un «cavolo». Riprovò, questa volta con più cautela, e tastò qualcosa che le imbrattò le dita di sale. Una nocciolina, rotolata sul tavolino. Le guance le regalarono un'ondata di calore.

«Tieni.»

Una scia di profumi mescolati accompagnò la voce di Evelyn: cocco e cibo spazzatura, come lo chiamava sempre sua madre. Elettra si umettò le labbra e lo stomaco le si contrasse al ricordo delle giornate in cui, da piccola, nascondeva scorte di cioccolate e salatini sotto il materasso per non farsi scoprire.

Afferrò una manciata di noccioline dalla ciotolina che le ondeggiava davanti al volto. Un piccolo thud, ed Evelyn l'aveva rimessa sul tavolo.

«Ma non avrebbe avuto più senso portarsi il visore?» chiese Keira. Le molle del divano di fronte cigolarono sotto il suo peso. «Come fai a vedere le parole così?»

Elettra accavallò le gambe. «Non volevo attirare troppo l'attenzione.»

«Ma così come fai a cantare?»

«Saprà pure qualche canzone a memoria,» rispose Evelyn. «Voglio dire, chi è così deprimente che non sa le parole di nessuna canzone?»

Keira sghignazzò. Elettra la immaginò portarsi una mano sul cuore e strizzare l'occhio nella sua direzione. «Quindi io sarei deprimente?»

«Ma se ti ricordi anche di che colore erano le mie mutande l'altro ieri.» Evelyn riprese a sgranocchiare.

«Quello è facile. Ti fissi con un colore ogni settimana, non posso mica sbagliarmi.»

«Non sono fisse, le mie. È senso estetico.» Il rumore di un dito che picchiettava sul tavolo guidò lo scandire delle parole.

Elettra infilò fra le labbra una nocciolina. La catturò con la lingua e ne assaporò la quantità esagerata di sale. La testa inclinata di sua madre comparve nel nero che la circondava; le indicava la riserva di schifezze che le aveva scoperto in camera e giacevano sul comodino, proprio sotto la lampada.

Inghiottì, e l'immagine svanì nel nulla. «Non fa niente, non ho intenzione di cantare,» disse.

«Come no?» rispose Keira. «E allora cosa sei venuta a fare?»

«Evelyn mi ha costretta.»

«Non ti ho costretta, ti ho convinta.» La diretta interessata le sferrò una pacca amichevole sul ginocchio. Il freddo delle sue dita la raggiunse nonostante la protezione del tessuto dei jeans. «Eri tutta contenta di fare qualcosa di divertente, per una volta. Ti ho vista che ridevi fra te e te mentre uscivamo, sai?»

Elettra si afferrò il lobo dell'orecchio. Incontrò il foro dell'orecchino fatto quando era ancora una bambina – il dolore ormai non se lo ricordava più, ma la paura dell'ago che le si avvicinava, il sudore che le si insinuava fra le labbra, quelli sì che risiedevano vividi nella sua memoria. «Ho solo pensato che uscire potesse farmi bene.»

Allontanarsi dai problemi che permeavano le mura di un appartamento in continuo restringimento. Con questo desiderio a batterle nel petto aveva seguito un'Evelyn arrivata dal nulla nel karaoke, alla cieca. Proprio come quando aveva cambiato pettinatura.

Continuava ad affidarsi a una persona di cui conosceva così poco, solo perché la sua aura le trasmetteva un'allegria perduta.

«Dai!» Evelyn la tirò per il braccio. Fu un movimento improvviso, ed Elettra le cadde addosso; le si aggrappò alle spalle con un braccio e, sebbene sentisse il calore della sua pelle troppo vicina al viso, evitò di finirle con la faccia in punti strani.

La Voce della TempestaWhere stories live. Discover now