IV. Nella notte - seconda parte

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Lukas aveva ottenuto quell'appartamento grazie a una scommessa. Un capo di druzina, un certo Igor Karkarov, passato a miglior vita l'anno prima dopo l'ostracismo dei suoi, lo aveva sfidato a chi avrebbe buttato giù più vecchi pilastri nella zona atomica della città, quella fuori dalle porte. Lui aveva vinto l'appartamento, Karkarov aveva perso tre dita per una mina inesplosa.

Era un loft ampio, poteva dare l'aria di un hangar e, in effetti, una stanza era adibita per le armi, disseminata di rastrelliere in cui teneva quelle più disparate, un'abitudine che aveva dall'infanzia.

Fece entrare il ragazzo senza nome, chiudendo la porta a panelli e disattivando l'allarme. La luce illuminò il salone, arredato col minimo indispensabile, una strana assenza di cose che poteva colpire per un momento, supponeva lui che ormai ci si era abituato. C'erano tre specchi di luce fredda in mezzo al pavimento, un pilastro e una parete di vetro, un piano bar, un divanetto di pelle, nessun televisore. Una finestra al centro del soffitto coi bordi incrostati di ghiaccio offriva la visione del cielo notturno, il fosco lume della luna. Vide il suo ospite fermarsi proprio sotto al lucernario e sbirciare il cielo come tutto il resto che lo circondava.

Aveva una bella figura: alta, snella, solo apparentemente sottile. Spalle magre ma ben definite, vita stretta, fianchi asciutti, gambe lunghe; anche con quei jeans era possibile intravederne la forma affusolata. Non un filo di grasso in corpo, il profilo elegante, zigomi alti e quegli occhi duri dai riflessi verdi. Proprio un bel bottino si era portato a casa, quella sera.

«Vodka? Vino? Gin and tonic? Cosa vuoi?»

Lukas si diresse verso il piano-bar, dopo aver buttato contro il divano la giacca di pelle. La cucina – un frigorifero e un piano d'acciaio laminato – si raggiungeva attraverso due scalini e si affacciava direttamente sul salotto, così poté vedere il movimento del torso dell'altro, l'inarcamento delle sue sopracciglia.

«Avevi detto che avevi la kradija

«Non vuoi prima favorire qui?»

«Abbiamo già bevuto.»

«Non reggerai così poco.»

«Sai.» Gli elargì un sorrisetto saturo di quella condiscendente malizia che aveva dimostrato anche nel locale. «Sono uno che non ama girarci troppo attorno.»

Se lo sarebbe scopato sul pavimento, decise Lukas. O contro il tavolino di vetro al centro della stanza, proprio sotto il lucernario. Se lo sarebbe scopato a sangue, tenendolo per la nuca, affondando il viso in quella criniera scura, strattonandolo fino a farlo urlare. I fianchi che cozzavano contro il vetro, la schiena che si inarcava, segni di morsi sulla pelle, lungo il solco dorsale...

Gli stava già venendo duro al solo pensiero.

«Eccola.» Tirò fuori la droga da uno scompartimento invisibile nel vano del frigo-bar, che si azionava solo attraverso il riconoscimento delle sue impronte.

Gli occhi dello sconosciuto si assottigliarono, così come il sorriso; gli parve che la sua voce si facesse più morbida. Insidiosa.

«Bene.»

«Io mi faccio una vodka, quella di prima era buona per sciacquarsi i denti.» Diede le spalle al piano su cui aveva lasciato la kradija e si chinò alla ricerca dell'alcol. «Non mi sembri avere l'aria di uno di quelli.»

«Quelli chi?»

Un alito, la sua voce. Percepì distintamente, grazie ai sensi potenziati di animale, che si era spostato.

«Gli amanti del sangue di lupo. Non ne hai l'aria.»

«E che aria hanno di solito?»

Un passo, due passi. Cadenzati, impercettibili se non nel sostrato sensoriale avvertibile da un vulkulaki. Erano troppo leggeri per essere umani. Troppo guardinghi per essere quelli di un ospite con buone intenzioni.

Wolfen - Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora