XXI. Chi piange nella notte - seconda parte

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«Cosa gli avete fatto?!»

Andrej quasi ebbe la tentazione di balzare su Sereb. Si trattenne solo a causa della presenza di Sergej.

Irina ridacchiava. «Andrej, tu e tuo cugino siete proprio diversi! Non regge niente.»

Lui le scoccò un'occhiataccia e si avvicinò al divanetto dove Sereb stava semisdraiato, le palpebre socchiuse e le guance lievemente arrossate. Aveva i primi bottoni della camicia aperta, il colletto spiegazzato a mostrare il pallore della pelle al di sotto della gola, la pozza d'ombra creata dalle ossa della clavicola. Andrej fu tentato di chinarsi e abbottonarlo, ma ancora una volta si trattenne e si limitò a scuoterlo per le spalle, un tocco breve e clinico.

«Sereb? Sereb, ci sei? Mi senti? Ce la fai ad alzarti?»

Da parte sua un mugugno intelligibile seguito da un grugnito, ma infine si raddrizzò, sgranò gli occhi e li strizzò come per metterlo a fuoco.

«Voglio andare a casa» dichiarò, la voce che suonava ferma, chiara e grave – la sua solita voce.

Andrej fu rincuorato nel vederlo ancora, più o meno, lucido. Sbirciò verso il tavolo, ingombro di bicchieri e bottiglie vuote.

«Quanto ha bevuto?» indagò, guardando le ragazze. Si sentiva una mamma chioccia, ma tant'è: Vosikiev lo pagava profumatamente anche per fare da balia.

«Non ne ho idea» rispose Vanessa, mentre Irina non smetteva di ridere.

«Irina...»

«Oh, non guardarmi così! Gli abbiamo dato solo qualche bicchierino, per farlo sciogliere un po', sai, per farlo diventare più simpatico.»

«E ha funzionato?»

«Mah, non tanto.»

Andrej guardò di nuovo Sereb, che sembrava solo assonnato, gli occhi attenti però, lucidi e neri, che squadravano l'ambiente circostante e si soffermarono su Sergej che era appena apparso dietro il tavolino.

«Lo ripeto» smozzicò il figlio di Vor mentre pescava una sigaretta dalla tasca e se l'accendeva, «non sembrate per niente cugini, voi due.»

Andrej evitò di commentare. Aveva passato le ultime due ore a convincerlo che, sì, quello era suo cugino, che non avevano nessuna amicizia particolare loro due, e che, no, certo che non voleva che il lupo bianco scappasse, non aveva idea che avrebbe avuto la forza per uccidere due uomini e fuggire.

Sergej lo aveva assalito appena messo piede nella sua ala riservata, e non come pensava Andrej: lo aveva preso per le spalle e sbattuto contro il muro, le dita strette alle sue braccia quasi volesse stritolarlo. Col fiato che gli sibilava tra i denti gli aveva chiesto perché non fosse stato fuori l'anfiteatro a sorvegliare il lupo insieme a Dmitrij e Fëdor. Andrej, evitando di ricordargli che era stato lui a dirgli che la sua presenza non era necessaria, aveva biascicato delle scuse e aveva cercato di calmarlo.

Sapeva come trattare Sergej di solito, anche quando si trovava in quello stato alterato: bisognava tenere un basso profilo, adottare la docilità di una puttana in affitto. Tuttavia, quella notte il giovane vory era sembrato troppo arrabbiato, troppo in bilico col proprio autocontrollo, gli occhi percorsi da venuzze spesse quanto corde, che gli iniettavano la sclera di sangue e gli facevano pulsare l'iride. Doveva essersi sparato una quantità industriale di kradija prima di venire a casa sua e, se si era trattenuto dallo sfogarsi, era stato soltanto a causa della presenza di altre persone, Andrej lo aveva intuito dal momento in cui lo aveva visto piombargli in casa. Non si era infatti sorpreso quando, una volta nel Valhalla, nel suo antro, Sergej aveva lasciato perdere qualsiasi scrupolo e dopo avergli urlato contro una serie di insulti, rivolti in parte a lui, in parte al resto della druzina e, immancabilmente, al fratello – ci ha goduto, quello stronzo, ci ha goduto che ho perso il lupo! –, lo aveva preso sul pavimento, senza prepararlo e senza dargli il tempo neanche di spogliarsi.

Wolfen - Vol. 1Where stories live. Discover now