XXXII. Libertà - seconda parte

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«No» disse Lukas quando lo sentì trafficare col bordo dei suoi pantaloni, le mani velocemente scese dalla sua schiena al bacino. Si staccò a malincuore e, se la situazione fosse stata diversa, sarebbe scoppiato a ridere di fronte all'espressione dell'altro.

Sembrava allibita a dir poco.

«Non vuoi?»

«Questo dimostra quanto lo voglio.» Lukas si indicò il cavallo dei pantaloni dove svettava un rigonfiamento ben poco discreto. «Non stanotte però. Hai bisogno di riposare.»

«Ma...»

«No, Ilyas.» Come capitava tutte le volte che pronunciava il suo nome, non così spesso, provò un intimo piacere a ripercorrerlo con le labbra. «Devi riposare.»

«Lo dici solo perché hai visto questi» soffiò lui indicandosi i segni sul collo.

Sembrava un'accusa, ma Lukas non la raccolse.

«Forse, ma avrei dovuto capirlo prima.»

Che avesse un aspetto diverso dal solito lo aveva notato subito, in realtà, appena lo aveva visto entrare nell'appartamento. Avrebbe dovuto essere più intuitivo, lui che si vantava tanto di esserlo, nel decifrare lo stato in cui si trovava, ma, detta proprio fuori dai denti, aveva dato retta a quel che aveva in mezzo alle gambe più che a qualunque altra cosa. Nel momento in cui aveva sentito quel "neanch'io voglio giochi" gli era saltato addosso senza pensare e aveva dunque dovuto sbatterci la testa, anzi vederlo coi propri occhi. Adesso vedeva con estrema chiarezza quanto l'altro apparisse provato, e stanco, una stanchezza evidente, che non rinunciava a un'ombra di sensualità. Si chiese quando di preciso avesse visto Jagun e che diavolo fosse successo tra loro per ridurlo in quello stato. Non doveva essere successo da tanto perché quei segni erano freschi e gli odori della colluttazione ancora tutti lì; Lukas li poteva percepire mentre la rabbia continuava a iniettargli le gengive di metallo.

Ilyas pensava forse che non se ne sarebbe accorto? E come? Poteva essere proprio per questo che era venuto a casa sua, perché, inconsciamente, desiderava che qualcuno se ne accorgesse? Un modo per confessare qualcosa che non riusciva a dire neanche a se stesso.

Supposizioni volatili che sapevano di psicologia spicciola come ne aveva incamerata a forza lavorando per l'Ispettorato. Sentiva un gran cerchio alla testa e un gran istinto omicida. Ilyas lo stava guardando.

«Allora me ne vado» mormorò, atono.

Lukas non gli fece accennare neanche un passo.

«Vieni qui.» Lo dirottò verso la cucina e lo fece sedere su uno sgabello. Si mise dall'altra parte del bancone dopo averne liberato la superficie dalla Makarov e dei vari solventi. «Non hai mangiato, vero?»

Ilyas scosse la testa, un movimento stanco.

«Ho della carne. Ne vuoi un po'?»

Un altro cenno del capo, stavolta di assenso.

Lukas non perse tempo e recuperò il filetto che non aveva mangiato quella sera perché intenzionato a cucinarlo per l'indomani. Preparò la padella per cuocerlo e, mentre l'olio iniziava a scaldarsi, tagliò alcune carote e una cipolla. Quando l'olio raggiunse la giusta temperatura mise le carote e le cipolle sul fuoco e aggiunse poi il filetto, lo fece appena scottare, versandoci sopra la salsa al vino rosso avanzata dalla cena. Si allontanò mentre l'odore della carne cominciava a espandersi nella stanza, più denso delle erbe e della notte incombente.

Ilyas continuava a guardarlo; Lukas avvertiva il suo sguardo sulla schiena, come se volesse bucargliela. Quando si girò non si sorprese nel trovarlo più scuro, le iridi che avevano assunto una tonalità verde cupo.

Wolfen - Vol. 1Where stories live. Discover now