XXV. Homo homini lupus - seconda parte

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«Non muoverti.»

Leda teneva l'arma puntata, la sua mano non tremava, i suoi occhi sì però: vibravano come una pellicola d'acqua, colmi di un sentimento chiaro quanto insondabile.

Paura.

«Leda...» cominciò Soraya e provò a raddrizzarsi, ma appena colse il movimento l'altra sollevò l'arma, la riallineò al suo petto e strinse le dita.

«Ti ho detto di non muoverti!»

Quel grido parve accompagnato da un fulmine. Soraya guardò in alto, nel cielo nero e scoperto, ma non c'era nessuna nuvola, solo la luna pallida e indifferente che ammantava il giardino d'argento.

«Che cosa...» Al contrario della mano, Leda faceva fatica a mantenere la voce ferma. «Cosa... cosa significa tutto questo... come... tu...»

Non doveva accadere così, pensava lei. Non avrebbe mai dovuto accadere, ma se a volte aveva accarezzato l'idea di confessarle ogni cosa, di essere davvero nuda davanti ai suoi occhi, non era così che avrebbe voluto che succedesse. Non così, non così.

«Leda, abbassa la pistola.»

«Come...»

«Sono io.»

«Tu?» L'altra aveva gli occhi sbarrati, tracimanti quella paura che le invadeva l'iride, di cui Soraya poteva sentire l'odore più penetrante di qualsiasi ferita. «Chi... cosa sei tu? Cosa...» Con la mano libera abbracciò il giardino, i resti sanguinolenti dei lupi, il corpo di Ivan. «Come me lo spieghi tutto questo? Ti ho visto! Ho visto che eri... ti sei... hai...»

«Te lo spiegherò, va bene? Ma ora stammi a sentire: dobbiamo andare via. Abbassa la pistola e...»

«No.» Leda scosse la testa, un movimento convulso. «No, no, no. Ora tu mi dai una cazzo di spiegazione, perché non è possibile, non... anche loro sono uomini?» Indicò i lupi, ansimante. «Quei lupi sono uomini? Come te? Che cosa siete? Com'è possibile...»

Non posso dirtelo, avrebbe voluto urlare Soraya. Avrebbe dovuto tramortirla, forse ucciderla. Così le avrebbe detto suo padre; l'eco della sua voce, metallica e bassa, le frusciava nelle orecchie.

Non possiamo fidarci degli umani, non potremo mai di fidarci di loro. Sono predatori, come noi. I predatori in questo mondo finiscono sempre con l'uccidersi.

Davanti al suo silenzio Leda fremette. «Parla, maledizione! Che cosa è successo? Soraya, giuro, se questo è uno scherzo, se sono sotto l'effetto di qualche allucinogeno...»

«Leda, ascoltami...»

«... dimmelo ora perché non è possibile, no, non può essere vero. Eri un lupo. Ti ho visto! Li hai fatti a pezzi! Come... cosa... perché non mi hai mai detto niente?»

«Cosa?»

«Perché non mi hai mai detto che sei... che riesci... perché cazzo non hai detto niente?»

Soraya boccheggiò. «Avevo paura.»

Era ancora per terra, ricoperta di sangue dalla testa ai piedi. Non riusciva a muoversi. Leda la fissava dall'alto; smise di balbettare e spalancò gli occhi.

«Paura? Tu?» Agitò la pistola e fece un passo avanti. «E di cosa avevi paura? Di cosa diavolo...»

«Di come mi avresti guardata. Come stai facendo adesso: come se fossi un mostro.»

E allora Leda si paralizzò. Fu come se lei ora avesse un'arma puntata contro. Abbassò gli occhi sulla pistola, sulle dita che stringevano l'impugnatura, le nocche sbiancate. Li sollevò per fissarla di nuovo con un'espressione difficile da decifrare, che faceva male quanto lo squarcio di paura che ancora le velava gli occhi.

Wolfen - Vol. 1Where stories live. Discover now