XXII. Il Lupo randagio - prima parte

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«Forse non sono stato chiaro» ripeté per l'ennesima volta al soldato che si occupava della perquisizione all'ingresso. La sua pazienza, che a onor del vero non era mai stata molto allenata, si stava drasticamente esaurendo. «Sono capo di una druzina, ho lavorato per l'Ispettorato Speciale, esigo di parlare con qualcuno che sappia rispondermi

«Le ho già detto che non è possibile. Deve attendere qui. È la procedura.»

«In culo la procedura!» Più di cinque anni lontano dall'esercito avevano decisamente smorzato il suo rispetto per il protocollo oltre quello per le gerarchie. «L'esercito non ha giurisdizione sugli affari della Mafiya, non ha nessun diritto di prelevare un suo affiliato e pretendo ora che mi sia detto dove.... anzi, che venga immediatamente...»

Proprio nel mezzo della sua invettiva le porte scorrevoli che separavano l'ingresso dagli uffici dello Stato Maggiore si aprirono. A uscirne fu Ilyas.

Ancora vivo. Ancora, all'apparenza, tutto integro.

Il senso di sollievo che Lukas provò in quel momento sorprese lui per primo.

«Por...» bestemmiò e si sarebbe forse persino slanciato verso di lui se non ci fosse stato il gabbiotto di guardia di mezzo.

L'altro all'inizio non lo vide. Si diresse verso il gabbiotto per riprendere le sue armi. Solo quando ebbe oltrepassato la porta magnetica si accorse della sua presenza. Subito il suo viso si irrigidì in una maschera dura.

«Cosa ci fai qui?»

«Sono venuto appena ho saputo.» Lukas evitò di aggiungere: inutilmente. Lo guardava. «Stai bene? Cosa è successo? Ti hanno...»

«Non è successo niente.»

Ilyas fece per allontanarsi, ma Lukas non aveva intenzione di lasciarlo sfuggire con tanta facilità. Questa volta no.

«Aspetta.»

Si sporse per afferrargli il braccio. Lo sentì irrigidirsi all'istante e l'attimo dopo provare a sfilarsi dalla stretta.

«Lasciam...»

«Aspetta, aspetta un secondo. Guardami.»

Lo costrinse a voltarsi, allentando la presa. Ilyas si liberò con uno sbuffo ma almeno non fuggì e accettò di guardarlo. Alla luce smorta del mattino i suoi occhi apparivano più chiari, quasi liquidi, gravati da occhiaie profonde come lividi. Lukas si accorse solo in quel momento di quanto apparisse stanco. Provò un brivido di difficile identificazione come sempre ormai gli capitava quando si trovava a riflettersi nello specchio dei suoi occhi duri e al tempo stesso percorsi nel fondo da una strana vulnerabilità. Magari se la stava immaginando. Magari la sua immaginazione, che non era più allenata della sua pazienza, aveva cominciato a perdere colpi. Forse era un'illusione, una suggestione alimentata dal desiderio di vedere qualcos'altro oltre l'ostilità. Non avrebbe saputo dirlo. La verità era che, se si era sempre ritenuto in grado di decifrare gli altri, non poteva dire di avere la stessa abilità con se stesso. Aveva impiegato del tempo dopo il gulag a riabituarsi a gestire, comprendere ed esprimere le proprie emozioni; ancora non gli venivano del tutto naturali come quando era ragazzo e forse non sarebbero mai più tornate così spontanee. Certe cose richiedono tempo, aveva imparato: la sensibilità è una trappola ma anche una conquista ed esisteva ancora molto dell'emotività umana che gli rimaneva precluso. Eppure, neanche il ferreo autocontrollo coltivato nell'esercito, né il feroce istinto di sopravvivenza scaturito in carcere, né l'abile dissimulazione che aveva potuto imparare in quella vita erano in grado di impedirgli di bloccarsi come in preghiera davanti a un lampo di occhi verdi.

«Stai bene? Rispondi almeno a questo.»

«Sto bene» ripeté Ilyas, un sibilo. «Mi hanno fermato perché non li convincevano i miei documenti. Ordinaria amministrazione. Non preoccuparti, non ho spifferato nulla.»

Wolfen - Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora