XVIII. L'iniziazione - seconda parte

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La stanza era buia ma, cosa più importante, era silenziosa. Un silenzio sia di fuori, sia di dentro. Richiuse la porta appena ne varcò la soglia; stava facendo scattare la serratura automatica quando un deciso bussare glielo impedì.

«Soraya?» Era la voce di Inessa. «Apri, non dirmi che sei già a letto.»

Con la mano sulla maniglia per un momento Soraya esitò, tentata di non rispondere, ma durò solo un istante: aprì uno spiraglio, poi del tutto.

«Stai bene?» Inessa entrò di prepotenza com'era abituata a fare. Non le chiedeva mai il permesso.

Dovevano essere le tre passate e Soraya avrebbe solo voluto raggiungere il letto, sprofondare nella distesa artica delle lenzuola, chiudere gli occhi, spegnere il mondo.

«Sto bene» rispose con calma. «Sono solo stanca.»

Sperava che capisse l'antifona. In macchina, mentre tornavano, per tutto il tragitto era stata in silenzio non rispondendo alle occhiate nervose di Inessa. Suo padre si era limitato a chiederle come si sentisse.

«Beh, è normale che tu sia stanca. Dopo una cosa del genere...»

«Infatti lo sono. Se potessi...»

«Sì, sì, ora me ne vado. Volevo solo assicurarmi...» La scrutava con attenzione, con quel piglio deciso, il mento all'insù e le narici dilatate, come se potesse capire dal suo odore come si sentisse.

Soraya sorrise un po' indulgente e si strinse nelle spalle. «È andato tutto bene, Inessa, non ti preoccupare. La mia mente sta bene, non ho crisi, non ho nulla. È filato tutto liscio a parte...» e allora strinse le labbra, guardandola con severità, «a parte il tuo intervento.»

«Ah!» esclamò lei e parve offesa. «Sul serio? Mi stai rimproverando? Mi aspettavo un ringraziamento, qualcosa del tipo "grazie per avermi salvato la pelliccia, sorella".»

«Avevo tutto sotto controllo.»

«Oh, certo, infatti quel tipo, Daikovich, non si è accorto all'improvviso che era tutta una farsa. Ti stava per sparare, Soraya.»

«Se mi davi un attimo...»

«Un attimo è la differenza tra la vita e la morte. Eri troppo impegnata con gli altri, neanche te ne sei accorta. Cosa dovevo fare, permettergli di bucarti la testa con un proiettile? Papà mi aveva espressamente ordinato di badare a... "disguidi" del genere.»

Usò il termine "disguidi", più soffice di "errori", e Soraya strinse ancora di più le labbra. Sentiva un sapore di metallo tra le gengive.

«Potevo farcela» insistette e chiuse la conversazione lì, nonostante Inessa fosse in procinto di ribattere. Cambiò repentinamente argomento. «Comunque alla fine è andato tutto bene. Sono morti e non si sono neanche accorti di essersi uccisi senza motivo.»

«È stato inquietante.»

«Doveva esserlo.»

«Hai visto come ti hanno guardata gli altri?»

«Con rispetto.» La tensione alle spalle si sciolse ricordando gli sguardi che l'avevano seguita quando aveva finito, una volta alzati gli occhi dai cadaveri dei traditori.

«Anche con paura» bisbigliò Inessa e c'era qualcosa di diverso nella sua voce, una traccia del pigolio di quand'era bambina, quand'era più insicura e bussava alla sua porta implorandola di farla entrare e Soraya non rispondeva perché faceva male, c'erano giorni che la testa le faceva così male che non sopportava di vedere anima viva, neanche sua sorella.

Lei non è più quella bambina, si disse. Ora apriva le porte senza bussare, entrava senza essere invitata. Anche Soraya non era più quella bambina che si chiudeva a chiave nella propria stanza per essere isolata dal mondo.

Wolfen - Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora