XXVI. Ferite aperte - prima parte

118 11 84
                                    

Lo squarcio era piccolo, nella parte bassa dell'addome. Dopo un respiro troppo forte, mentre ancora stava pulendo la ferita, un rivolo di sangue sprizzò e gli scese lungo il fianco. Lukas ne osservò il percorso sbilenco lungo la pelle.

«Niente di grave» constatò Yuri, che lo stava osservando. «Non ho capito però come hai fatto a espellere la pallottola.»

Lukas scrollò le spalle. Non rispose perché stava tenendo il filo in bocca: ne strappò con i denti l'estremità e lo inserì nella cruna dell'ago al secondo tentativo. Si assicurò di aver pulito tutto e affondò l'ago nella carne. Gli sembrò di essere ritornato indietro nel tempo, a quando era ancora un ragazzo e suo nonno gli irrorava le ferite fresche di vodka, gli faceva mettere un pezzo di legno tra i denti e gli ordinava di ricucirsi da solo.

«E se c'è un'emorragia in corso?» gli chiese Yuri.

«Non c'è.»

«Come fai a saperlo?»

«È il mio potere.» Concentrato sull'operazione, alzò a malapena gli occhi a guardare l'altro. «Il mio corpo all'interno è come se fosse fatto di gomma. I miei organi hanno la capacità di autorigenerarsi.»

«Anche il cuore?»

La domanda aveva un accento divertito.

«Non abbastanza in fretta. Neanche il cervello, se è per questo.»

Yuri lo fissava con curiosità. Erano tornati nella spianata, fuori dalla foresta. Lukas stava seduto in una delle macchine col kit dei medicinali che gli aveva passato Alina al fianco. La portiera era aperta e gli consentiva di vedere gli altri vulkulaki dei Khlysty che si aggiravano nella nebbia mattutina, le ferite scintillanti come medaglie. C'era anche Raisa da qualche parte. Qualcuno aveva creato una barriera che li avrebbe coperti alla vista di chiunque fosse passato nelle vicinanze.

Era l'alba, un'alba cinerea che era sorta svogliata ed esangue sulle vestigia della notte appena trascorsa. Il cielo era attraversato da una flottiglia di nuvole verdognole. Il vento che spirava da ovest era freddo, una carezza gelida; s'insinuava fra le cose e le rivoltava.

Lukas tenne i bordi della ferita uniti con le dita della mano sinistra, mentre con la destra iniziò a cucire la pelle come fosse un pezzo di stoffa. Seguì i margini e li chiuse con una serie di piccoli punti, affondando la punta dell'ago e serrando i nodi. Lasciò una piccola apertura a una delle estremità per far sfogare all'esterno la materia purulenta. Suo nonno gli aveva insegnato quel trucco. Quando finì, si allungò verso il kit. Tirò fuori una crema giallastra che odorava di uova marce e la strofinò sopra la sutura.

Yuri continuava a guardarlo. Si era appoggiato col fianco sulla portiera, il fucile ancora appeso alla spalla. Aveva anche lui una ferita sul braccio destro, il morso profondo e brillante lasciato dal vulkulaki che avevano catturato.

«Mangiare carne umana rende più forti, ma tu eri già forte di tuo» commentò con un breve fischiettio. «Adesso ho capito perché Vosikiev mi ha affibbiato te come cane da guardia.»

Lukas gli scoccò un'occhiata. «Sorpreso?»

«Onorato.» L'altro scoprì i denti in un ghigno. «Non ho mai conosciuto nessuno con un potere simile.»

«Neanche io col tuo» ammise lui e quasi si sentì sorridere.

Non era ancora del tutto convinto di quel tipo, gli sembrava di aver cambiato opinione su di lui almeno una dozzina di volte in pochi giorni, però doveva ammetterlo: combattere al suo fianco era stato esaltante. Una sorsata di adrenalina pura. E c'era adesso, conclusa la battaglia, un aspetto di velato cameratismo, carico di quella simbiosi maschile che non riguarda tanto la carne ma la promiscuità. Lo aveva vissuto tante volte – nel suo clan, nell'esercito, nella druzina. Una cosa che, per quanto devoto alle donne, con una donna non aveva mai sperimentato: quel sentimento tipicamente maschio dello stare insieme, capirsi senza dirsi troppo, una vicinanza rudimentale, ma mai neutrale, solidale e schietta.

Wolfen - Vol. 1Donde viven las historias. Descúbrelo ahora