XX. Nel limbo - prima parte

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Adhez

Si trovava in una stanza ampia e bianca. Del suo corpo non aveva percezione: si sentiva pura coscienza, librato in un'aria rarefatta, senza consistenza.

C'era di nuovo quel freddo.

... quale freddo? Conosceva quel posto? Ci era già stato? Ora perché ci era tornato? Era forse finito in un sogno?

Un silenzio gelido e informe si spandeva tra le quattro mura della stanza spoglia. C'era una sagoma distesa su un lettino. Un respiro si levava, tiepido e sottile, si perdeva nel bianco; anche lui era immerso nello stesso bianco, confuso in quel vuoto abbacinante, inconsapevole dei bordi della realtà ai quali aggrapparsi. Forse non c'era una realtà alla quale aggrapparsi: quel luogo era un limbo e il bianco di cui era fatto aveva un pallore diverso da quello della neve: non era un candore che pulisce, che salva, bensì un biancore che condanna; il silenzio di grida trattenute, l'afonia di cose mai dette.

Adhez

Aiuto...

Sereb sbarrò gli occhi ritrovandosi a guardare il bianco del soffitto. Dovette trattenere un conato di nausea. Si raddrizzò, le dita tremanti. Aveva l'intero corpo ricoperto di una pellicola di sudore freddo. Raggiunse il bagno in pochi passi e lì, inginocchiandosi a terra, vomitò la cena consumata quella sera – un'insipida borsch offerta dal suo coinquilino-carceriere.

Quando i conati finirono, poggiò la schiena contro il water e chiuse gli occhi. Mille puntini danzavano nella penombra delle palpebre disegnando immagini che non riusciva ad afferrare. Rivedeva il bianco, risentiva quell'assenza di odori, quel vuoto nauseante. Era sicuro che in quell'incubo, che aveva cominciato a sognare dal giorno dell'iniziazione della figlia di Vosikiev, ci fosse qualcuno insieme a lui...

«Sereb?»

Un fascio di luce strisciò nel bagno, lo vide socchiudendo un occhio. Sulla soglia, stagliato contro il lume smorzato del corridoio, Andrej Lazarev lo guardava con preoccupazione.

«Stai bene?»

Che domanda idiota, pensò. Stava per terra, sul pavimento di quel buco chiamato pomposamente "bagno", dopo aver rigurgitato una buona dose di succhi gastrici insieme a residui di borsch, e quello lì gli chiedeva se stava bene?

Non rispose.

«Ma hai vomitato! Oddio, non è che ti sta venendo l'influenza intestinale?»

Perché gli umani devono essere così stupidi? si chiese, scocciato. Tendeva a scordarsi di essere metà umano anche lui.

«Continuo a fare lo stesso sogno» disse una voce che faticò a riconoscere come propria. «Sono in una stanza bianca, c'è qualcun altro che non vedo, dice "adhez" e io non capisco.»

Era quella ragazza, quella che lo aveva portato a Mosca senza che lui sapesse perché? Sognava lei durante la notte quando le difese della sua mente si abbassavano?

Sentì Andrej borbottare qualcosa, poi distinse un: «Alzati, ti do una medicina.»

«Non voglio.»

«Almeno un po' di acqua e limone, allora. Per lo stomaco. Non boicottarmi sempre tutto.»

C'era una nota esasperata nel suo tono. Fu più per stanchezza che per persuasione che Sereb lo seguì in cucina, dove l'altro tirò fuori un bicchiere dal lavello, lo pulì alla buona e lo riempì d'acqua.

«Ehm, non ho il limone. Pensavo di averlo, ma...»

«Fa niente.»

Senza cerimonie afferrò il bicchiere che Andrej gli stava porgendo e bevve un lungo sorso, che gli rinfrescò la gola riarsa.

Wolfen - Vol. 1Where stories live. Discover now