XVII. Una giornata di sole - seconda parte

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Per l'iniziazione di Soraya Vosikieva era stata scelto come luogo la vecchia fabbrica nei pressi della foresta di Khimki, un ritrovo abituale per la comunità vulkulaki moscovita. Andrej stesso ne aveva varcato i cancelli più di una volta, ma mai per un'occasione così composita: quella notte la fabbrica fermentava di persone, uomini e donne, giovani e più anziani, tutti vulkulaki venuti ad assistere a ciò che si considerava a pieno titolo il "passaggio di scettro" del Vor Ljuba Vosikiev alla sua erede, il rito attraverso il quale il signore dei Khlysty designava senza indugi il suo successore.

C'era la crème, se così si poteva chiamarla: i Vosikiev e i loro rami collaterali e i più stretti collaboratori; c'erano i capi-clan e i capi-branchi dei dintorni di Mosca e San Pietroburgo, più altri venuti da più lontano; e poi stavano tutti gli altri, vulkulaki solitari inseriti nelle maglie di Mosca, come lo era lui.

Sereb, appena oltrepassata la soglia della fabbrica, si era fatto più vigile, lo aveva notato, ma camminava con fluidità, mischiandosi nella folla. Andrej salutò qualche conoscente, rispose a chi gli chiese chi fosse "quello spilungone coi capelli bianchi" con la panzana inventata da Vosikiev. Sorrideva a tutti, cercando di mostrarsi il più naturale possibile quando dentro si sentiva come se stesse camminando su un deserto di mine.

Non vedeva Lukas. Trovare una faccia amica in quel momento lo avrebbe aiutato.

«Fra poco inizierà, ci conviene affrettarci» disse al suo compagno, che lo guardò senza espressione.

«Come funziona?»

«In realtà non lo so. Io non ho mai fatto parte di un clan. Credo che ci saranno delle parole solenni e che a un certo punto la ragazza dovrà dimostrare i suoi poteri.»

«Un giorno hai detto...» lo interruppe Sereb, quasi un alito inconsistente la sua voce, «che tuo padre ha provato a ucciderti.»

Andrej si irrigidì. Quella frase lo colse del tutto impreparato.

«Te lo ricordi?»

«È la prima cosa che mi hai detto quando mi hanno catturato.»

Lo fissava con quegli occhi che non dicevano assolutamente nulla. Andrej inghiottì un bolo d'aria. Cercò di non mostrarsi a disagio e adottò un tono leggero.

«Sì, è stato così. Come vedi non ho avuto un clan. Sono cresciuto in una famiglia umana finché... beh, quando mi sono trasformato mio padre non l'ha presa bene.»

«Tua madre era una vulkulaki?»

«Non direttamente: era figlia di vulkulaki. Sua madre lo era stata, lei no. È passato a me questo...» Come avrebbe dovuto chiamarlo? Maledizione? Al tempo l'aveva vista così. «... questo potere. Quando successe me ne andai.»

Sereb non gli chiese cos'era successo ai suoi genitori, se li aveva mai più rivisti. Non era interessato e Andrej ringraziò mentalmente quell'indifferenza, non illudendosi neanche per un secondo che potesse trattarsi di discrezione.

«Vieni» gli disse e quasi gli sfiorò il braccio. «Seguiamo gli altri.»

Il rito d'iniziazione si sarebbe tenuto nella sala più grande della fabbrica, quella che un tempo era stata la mensa, atta a contenere più di trecento unità di operai. Guardandosi attorno, si accorse che l'ambiente era ampio ma angusto; sentiva il soffitto schiacciargli la testa. Forse era per via di tutta quella gente. Si sarebbe detto che si fossero riuniti tutti i branchi della Russia.

Era avanzato di pochi passi, seguendo la fiumana di vulkulaki diretti alla mensa, quando dovette fermarsi. Sereb era rimasto immobile nel mezzo del corridoio, le spalle rigide e il volto in tensione. Aveva le narici che fremevano, pallide e allargate.

Wolfen - Vol. 1Where stories live. Discover now