VIII. Amici nemici - seconda parte

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Lo sentì risucchiare, un lungo tiro che finì con quel rumore che ricorda il suono di un lavandino sturato. Andrej fissava un punto indefinito della parete; spostò lo sguardo al tappeto sopra cui stava disteso. Era ricavato dalla pelliccia di un lupo, una rarità e un lusso che solo un nobile del calibro di Sergej poteva permettersi. Gli aveva detto che si trattava di un lupo delle steppe siberiane. Un lupo bianco.

«Vuoi un tiro?» chiese Sergej, la voce impastata, ma con il timbro metallico e rauco che gli era tipico.

Andrej fece un cenno di diniego e rimase a fissare il pelo morbido del tappeto, sdraiato e nudo con il vory che tirava la kradija sulla sua schiena. Non doveva fare movimenti bruschi perché c'era il rischio di far cadere la droga e poi chi la trovava più, persa nel bianco. Non certo Sergej che si era già fumato due strisce e cominciava ad avere gli occhi appannati.

Sentiva i tocchi freddi delle sue mani sulla schiena: separava le strisce con un taglierino, indugiando ogni tanto sulla pelle, accarezzandola con la lama e sorridendone – anche se non lo vedeva, sentiva il suo sorriso. Si chinava poi, inalava e tirava; faceva quel rumore buffo, che era diventato una specie di colonna sonora costante per lui. Ormai frequentava tutti giri in cui non c'era un cristo che non si drogava, anche se non tutti avevano la fortuna di avere roba buona come i Novikh.

Fece volare via la mente, via dalla sagoma di Sergej dietro di sé e da quei rumori; pensò alla pelliccia sopra cui stava disteso, a come chiunque altro della sua specie ne sarebbe stato disgustato e invece lui era lì, con un uomo che lo usava come tavolino per tirare; stava lì, completamente nudo, sopra un lupo morto. Se gli fosse rimasta qualche sacca di vergogna, si sarebbe disprezzato, ma da tempo aveva sostituito alla coscienza una più comoda indifferenza.

Se fallisco, sarà il lupo bianco il prossimo tappeto di Sergej, rifletté distrattamente. Aveva tirato anche lui prima; si sentiva la testa più leggera, i pensieri sfilacciati come verdure in una borsch. E io gli farò compagnia.

Due tappeti in un colpo solo più tutta la kradija derivante da due giovani lupi adulti, però; sarebbe stato un affare per il figlio del Vor. Gli sarebbe giusto dispiaciuto un po' non avere più il suo cagnolino, ma Andrej non si faceva illusioni: ne avrebbe trovato presto altri.

Quando Sergej ebbe finito di tirare, fu per lui possibile spezzare l'immobilità. Si girò, stiracchiandosi e facendo attenzione alle ferite pulsanti sulla schiena. Insieme al taglierino, che aveva lasciato solo delle superficiali strisce simili a carezze più penetranti, Sergej quella sera era stato in vena della cinta. Ogni tanto gli capitava. Ogni tanto gli prendeva la voglia di andare più pesante e Andrej accondiscendeva; accondiscendeva ai suoi bisogni, ai suoi istinti più nascosti, cedevole e silenzioso, un perfetto compagno per i giochi più spinti. Così almeno l'altro lo definiva: diceva che aveva avuto molti amanti, ma mai nessuno che si piegava così bene al dolore, a cui sembrava piacere... il dolore e l'umiliazione, il piacere nel dolore e il dolore nel piacere, un mélange di difficile classificazione.

«Vuoi da bere?» gli chiese il vory, andando ad afferrare una bottiglia di vino lasciata sul pavimento vicino al tappeto. Ingollò un robusto sorso prima di porgergliela.

Andrej si raddrizzò e bevve. Sentiva lo sguardo dell'altro su di sé.

«È francese?»

«Oui, un vino francese, da fuori la Federazione. Sanno ancora fare qualcosa da quelle parti.» Si prese una sigaretta, sfregandola contro la coscia nuda. Fece un sogghigno pigro. «Si dice che esistano bottiglie risalenti a prima dell'Ultima Guerra, quando si producevano i migliori vini dei migliori vigneti. Mio padre ne tiene alcune sigillate nel suo antro, le usiamo per le occasioni speciali.»

Wolfen - Vol. 1Where stories live. Discover now