VI. Cattura - prima parte

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La discarica era un cantiere che ricordava una cloaca a cielo aperto: pezzi di lamiera inghirlandati di brina si mischiavano a rottami e rifiuti. L'aria era sempre fredda e fetida; c'era odore di sporcizia e umanità rappresa. Sasha non aveva mai visitato quella parte di Mosca le volte che era venuto in capitale. Non sapeva nemmeno che esistesse.

«È un posto dove si smercia in modo furtivo» stava spiegando Ilyas, mentre avanzavano, seguiti da sguardi indifferenti o stolidi. «Non è come la Tverskaya coi suoi traffici ben distinti. Qua vengono i disperati.»

Occhieggiando l'ambiente, le facce zozze, le sagome raggomitolate come feti sotto impalcature sbilenche, Sasha non faticava a crederlo.

«Perché sei voluto venire? Potevi restare in quella camera a ore.»

«Voglio vedere cosa fate. Se sono con voi, non potete lasciarmi fuori.» Non voleva stare solo. «E poi anche lei è venuta.»

Indicò Aisha, che camminava un paio di passi dietro il fratello, il viso semicelato dal cappuccio di una felpa. Indossava jeans sdruciti e scarpe da ginnastica terzomondiste; non sembrava neanche una ragazza.

«Io seguo sempre Ilyas.»

Gli parve di vedere il diretto interessato a quel commento alzare gli occhi al cielo.

Il cielo era grigio, di quel color grigio smorto così tipico dell'inverno moscovita. Appariva pesante quanto un voto. Ilyas teneva la kradija in una doppia tasca del suo giubbotto; si era alzato con l'intenzione di venderla in "un posto che sapeva lui" per racimolare i rubli sufficienti per la prossima settimana, o forse qualcosa di più.

«È roba buona, di qualità. Il tipo di ieri stava bene, non era un semplice pusher. Ha bevuto non la solita Stolichnaya e aveva una bella macchina.»

Sasha non aveva chiesto come si fosse procurato quella droga e l'altro non aveva approfondito. Meglio non sapere, era dell'opinione. Lo preoccupava il fatto che il derubato non fosse un semplice pusher; sapeva che i trafficanti avevano i loro metodi per rintracciare la "roba" e che non era facile fregarli. Ma il ragazzo ashkale sembrava tranquillo. Troppo, a suo parere.

«Hai controllato che non ci siano dei recettori?»

«Dei cosa?»

«Mio fratello Igor usa dei recettori per non perdere o farsi rubare la droga. In questo modo riesce a rintracciarla quando non è più nelle sue mani.»

«Io non ho visto niente. Guarda che non siamo in un film da KGB.»

Si dimostrò offeso. «È solo prudenza.»

Lui gli scoccò un'occhiata condiscendente, che a Sasha non piacque affatto. No, era inutile: quel tipo proprio non riusciva a risultargli in simpatia. La sua aria di sufficienza lo irritava, ma in modo blando. Era abituato, d'altronde, a essere preso poco in considerazione.

Sbirciò Aisha. «Hai freddo?»

«No» fu la risposta. La ragazza incassò le spalle e spinse più avanti il bordo del cappuccio. I suoi occhi avevano sfumature gialle da gatto. «Fai da palo, va bene?»

«Eh?»

«Visto che se voluto venire, quando potevi startene tranquillo e ben pasciuto» interloquì Ilyas, «ti renderai utile. Mentre io vendo la roba, tu controlla che non venga nessuno.»

«Va bene» bofonchiò Sasha con una sensazione di lieve allarme che gli strisciò al centro dello stomaco. Quale membro di un importante clan della Mafiya, non avrebbe dovuto sentirsi agitato all'idea di vendere droga, ma non si era mai trovato a suo agio in quel genere di situazione. Era una situazione da piani bassi, come l'avrebbero definita i suoi fratelli, da pusher di periferia. L'avanguardia presenta sempre i maggiori pericoli e il minor onore. L'aveva sentita da suo padre, questa frase, un giorno.

Wolfen - Vol. 1Where stories live. Discover now