Capitolo 42

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Nel panorama internazionale, una delle principali realtà accostate all'Inghilterra era senza ombra di dubbio la variabilità meteorologica.
Era normale, infatti, trascorrere le proprie giornate in balia della continua alternanza tra un cielo azzurro e apparentemente limpido ad uno grigio pieno di nuvoloni carichi di pioggia, e sebbene la maggior parte delle persone ne fossero ormai consapevoli -come i turisti- e altre rassegnate -come i residenti-, vi era ancora qualcuno di reticente.

Qualcuno come me.

Sì, proprio io.

Io, che pur avendo in casa sei ombrelli diversi, li avevo dimenticati tutti ed ero stata costretta a scorrazzare per le strade di Londra senza nemmeno un cappuccio.

Per questo, quando entrai nell'ascensore che mi avrebbe portato in quella che ormai da quasi due mesi era anche casa mia, non mi sorpresi dell'immagine riflessa nello specchio: capelli bagnati senza forma o volume, viso pallido e giacca di due tonalità più scura del normale a causa della pioggia.

Voltati Jane che, in questo momento, potresti entrare nel cast di un film dell'orrore.

Sospirai, frustrata ma felice che la giornata fosse giunta al termine, e non persi tempo quando arrivai finalmente all'ultimo piano.

"Sono a casa!" urlai, buttando le chiavi sul mobile all'ingresso e chiudendo la porta alle mie spalle.
Mi tolsi subito le scarpe così da non lasciare macchie sul pavimento, poi lasciai scivolare lo zaino accanto alla poltrona e riposi la giacca nell'appendiabiti.

Sapevo che Lewis fosse in casa, quindi non mi sorpresi di trovarlo in cucina.
Al contrario, però, rimasi spiazzata nel vedere lì anche Anthony Hamilton e Andy Allen: il primo era accanto al figlio, soprappensiero, mentre il secondo era comodo in una delle sedie presenti attorno al tavolo in vetro dove ero solita lavorare, con davanti un paio di fogli e un'espressione enigmatica in volto.

Fu allora che capii.

"Buonasera..." dissi, rimanendo sulla soglia della stanza.

"Bentornata Jane!" Rispose Allen, con voce squillante. "Potresti sederti? Dovremmo parlarti di..."

"Preferisco rimanere in piedi, grazie."

L'uomo sorrise in modo sornione ma fece un cenno d'assenso col capo.

"Bene, allora direi di andare dritto al dunque." Continuò, voltandosi per un istante verso Anthony Hamilton.

Due contro uno, avrei dovuto immaginarlo.

"Sai Jane, negli anni io ho sempre cercato di salvaguardare l'immagine della mia azienda -la Mercedes, appunto- e ogni suo componente, soprattutto quelli dediti ad essere spesso sotto la luce dei riflettori: ovviamente Lewis rientra tra questi" iniziò, puntando dritto i suoi occhi nei miei. "Per cui ogni qual volta lui o l'altro pilota decidono di fare nuove conoscenze, io sono costretto a..."

"Violare la privacy di tutte quelle persone." Risposi, intuendo come Allen stesse cercando di giustificare il suo sporco operato.

Lui, però, sorrise e affondò il colpo.

"Lewis è sempre stato d'accordo."

Rimasi per un istante interdetta da quella rivelazione ma sapevo che, seppur quelle parole mi avessero profondamente deluso, non avrei mai potuto ostentare insicurezze in quella circostanza.

Allen avrebbe colto la palla al balzo.

Spostai la mia attenzione proprio su Lewis ma da parte sua non ci fu alcuna reazione: continuava a stare in piedi, volto quasi completamente verso l'ampia vetrata della sala che mostrava una buona parte della città, con i capelli ribelli raccolti e le spalle rigide.
Da quando ero arrivata non mi aveva neppure degnato di uno sguardo.

"Quindi sapere di esser stata abbandonata da mia madre e che lei..."

"Questo non riguarda la tua famiglia Jane!" m'interruppe con prepotenza Anthony Hamilton. "Solo la tua scarsa professionalità, i tuoi falsi principi e la tua infinita scorrettezza."

Ascoltando quell'accusa, il mio cervello smise di funzionare.
Nell'ultima settimana avevo pensato a decine di motivi per cui Allen potesse attaccarmi e screditarmi di fronte a Lewis e tutti, nella mia ottica, riguardavano il passato turbolento della famiglia. Nessuno di essi, appunto, riguardava al mio lavoro o al modo in cui approcciassi i miei compiti.

Per cui feci automaticamente un passo indietro e strinsi le braccia al petto, come per difendermi: ero impreparata, furiosa e soprattutto sola in quella lotta.

"Io... io non capisco, cosa..."

"Il responsabile marketing della tua azienda -il signor Harnold, specifico del settore automobilismo- ci ha informato delle tuoi ricatti."

"I miei cosa?"

Andy Allen, allora, si alzò e mi porse un paio di fogli stampati.

Io non li presi.

"Nella sua testimonianza scritta Harnold afferma che -in cambio di un'importante promozione- tu avresti assicurato la partecipazione del tuo famoso fidanzato ad interviste ed eventi esclusivi che avrebbero fatto risaltare l'azienda in ambito internazionale" spiegò, lasciando scivolare quegli stessi fogli sul tavolo verso di me. "Afferma anche di esser stato più volte sollecitato con messaggi e chiamate da parte tua nel perdere la decisione giusta."

Ovviamente era tutto una bugia.

Le conversazioni riportare erano state inventate dalla prima fino all'ultima parola, un lavoro sporco che era stato messo in piedi senza fornire possibilità di replica. Soprattutto se davvero il responsabile marketing del mio settore fosse stato convinto a partecipare.

"Io non ho mai parlato con questa persona" dissi, sottovoce.

"Oh andiamo Jane, è palese il fatto che usassi la scusa del fidanzato famoso per essere messa in risalto!" controbatté con forza Allen. "Il rapporto con Toto, il posto che la Mercedes ti ha riservato accanto al suo muretto, le ore buca per visitare le città ospitanti dei Gran Premi! E poi le vacanze con Lewis, i regali, la convivenza in uno degli attici più belli di Londra!"

Trascorsero interminabili minuti di silenzio, dove ognuno dei presenti in quella stanza prese del tempo per se stesso e per i propri pensieri: da una parte c'era Allen, il quale stava rimuginando sul suo piano perfetto e su ogni parola pronunciata, così da trovarsi preparato ad ogni possibile mio contrattacco; dall'altra c'era un teso e nervoso Anthony Hamilton, il quale sembrava non avesse neppure ascoltato le parole del suo amico ma si fosse completamente concentrato sui comportamenti del figlio.

"Non hai niente da dire?" domandai proprio a Lewis. "Tuo padre e il tuo consulente mi hanno dipinta come la peggiore delle persone, quindi vorrei sapere cosa ne pensi tu."

In risposta lui, finalmente, si voltò verso la mia direzione.

Dalla sua espressione si evinceva che fosse arrabbiato, deluso, ferito ma ciò non lo giustificò dalle parole pronunciate l'istante dopo.

"Vattene Jane."

No, lo rese solo ugualmente colpevole insieme agli altri due.

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora