Capitolo 46 - prima parte

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Città del Messico - quarto giorno (domenica mattina)



Il sole che picchiava senza sosta e il frastuono assordante che arrivava dalle tribune sembravano non avere alcun effetto sulla concentrazione e sulle aspettative che, quella mattina, si percepivano in pista.

Tutti i piloti sembravano, infatti, vivere in una bolla neutrale durante quei momenti d'attesa e né i giornalisti -sempre alla ricerca di qualche scoop dell'ultimo secondo- né tantomeno i vip che gironzolavano lì in mezzo riuscivano a scalfire la loro attenzione, la loro totale indifferenza verso il mondo esterno.
Sembravano inespugnabili.
Ed io li invidiavo tantissimo: sia perché il mio stomaco aveva deciso di aggrovigliarsi su se stesso ogni qual volta mi voltassi per leggere i grandi numeri digitali che determinavano il countdown per l'inizio della corsa, sia perché il mio battito cardiaco accelerava in modo repentino al solo pensiero che Lewis potesse davvero vincere il suo quinto titolo mondiale quel giorno.

"Nervosa?"

Saltai letteralmente sul posto quando avvertii una mano toccarmi la spalla destra e quasi urlai per lo spavento.

"Sì, lo sei." Decretò Toto, ridacchiando.

"Sei un cretino!" sbuffai, cercando di riacquistare un minimo di calma. "E anche tu sei nervoso, non nasconderlo!"

Lui scrollò le spalle, incapace di poter ribattere il contrario.

"Fortuna che abbiamo accumulato abbastanza punti durante il corso della stagione perché se la Ferrari di Vettel fosse stata più vicina, Lewis non avrebbe potuto competere in queste condizioni."

"Credo che tu stia esagerando."

Toto scosse leggermente la testa in disaccordo.

Rimasi in silenzio per alcuni istanti, con gli occhi fissi sulla monoposto di Bottas che stava lì, ferma proprio davanti a me e praticamente accanto a quella di Lewis: se avessi alzato di poco lo sguardo, lo avrei di certo intravisto in mezzo ai meccanici che vestivano la tuta della Mercedes ma quella era l'ultima cosa che al momento desideravo.

Invece, per non cadere in tentazione, mi voltai verso Toto.

"L'altra volta non mi ha chiamata."

"Lo so" disse subito, incrociando le braccia al petto. "Gli ho suggerito di farlo ma lo sai, quel ragazzo è spesso troppo orgoglioso."

"Quindi stava bene e tu, come al solito, hai esagerato."

"Stava per avere un esaurimento nervoso quando non ti ha visto in giro per il paddock per due giorni consecutivi, Jane" rispose, alzando gli occhi al cielo. "Ha chiesto ad Angela e poi a me e addirittura anche a suo fratello d'informarsi su dove tu fossi finita!"

"Beh, se soffre così tanto la mia assenza, dovrà allora farci l'abitudine dall'anno prossimo."

"Che vuoi dire?"

Nonostante attorno a noi vi fosse solo confusione, il tono di voce basso e fermo utilizzato da Toto riuscii a sentirlo davvero bene, tanto che non potetti reprimere il brivido che mi percosse la schiena per il nervosismo.

"Ho fatto richiesta per esser trasferita in un altro dipartimento."

"Quale?"

"Football inglese."

"E ti è bastata una sola partita vista allo stadio per accendere il tuo interesse verso uno sport che mai avevi preso in considerazione?"

Sospirai, cercando di contrastare con la calma la sua rabbia.

"Credo sia una buona scelta."

"Davvero? E per quale motivo?" Chiese, questa volta con tono sprezzante.

"Rimarrei stabile in Inghilterra ma se fossi assegnata ad una buona squadra, potrei comunque viaggiare per l'Europa e così scoprire..."

"Sarai l'ultima ruota del carro Jane" m'interruppe bruscamente Toto, voltandosi verso di me. "Saresti quella nuova e verresti destinata ad una squadra di medio o bassa classifica, una di quelle che nelle competizioni europee non entra neppure per sbaglio e saresti confinata a vivere in chissà quale cittadina" continuò. "Perderesti anni di carriera e rinunceresti ai tuoi sogni per cosa esattamente?"

Non so per quanto tempo rimanemmo lì, in quello stato, uno proprio accanto all'altra, ognuno con lo sguardo fisso su qualcosa che non fossimo noi stessi, in totale silenzio, con le menti impegnate ad elaborare pensieri e immaginare scenari, rinchiusi come per magia all'interno di una piccola bolla che poteva esser distrutta solo da una nostra parola.
Io, però, ero colma di paura e d'imbarazzo per poter spiegare cosa mi avesse davvero portato a prendere quella scelta -il clima ormai insostenibile che si era creato tra me e il mio manager, gli sguardi giudicanti che mi venivano rivolti qual volta entrassi in azienda, le malelingue che mi additavano come la peggiore delle arrampicatrici sociali-, soprattutto quando ormai mancavano solo venti minuti scarsi alla partenza.

"Non dirlo a Lewis" disse infine Toto, rompendo quella finta quiete. "Risolverò tutto io una volta per tutte."

Non ebbi nemmeno il tempo di chiedere cos'avesse in mente o quantomeno di augurargli buona fortuna per la gara che lo vidi scomparire tra la folla, verso la sua postazione ben riparata all'interno del box.

Scossi leggermente la testa, ormai rassegnata dal fatto che molto probabilmente non avrei mai capito come funzionasse il suo cervello.

Controllai un'altra volta l'orologio e decisi di allontanarmi da quella confusione ma prima di muovere anche un solo passo, non riuscii a non sollevare lo sguardo verso Lewis.

Inaspettatamente aveva gli occhi puntati su di me.

Io gli sorrisi.

Lui, però, non ricambiò.

Sbuffai e tenendo tra le mani l'obiettivo della mia macchina fotografica, mi diressi verso la linea di partenza.
Per quel giorno la mia postazione si trovava tra la curva numero due e la numero tre, entrambe poste subito dopo il lungo rettilineo, ed ero entusiasta di stare lì perché quello si presentava come il miglior punto strategico per i fotografi: tutti i piloti sarebbero stati costretti in quel particolare tratto a scalare le marce e, soprattutto nei primi giri, avevo ottime speranze di ricavarne alcuni scatti eccellenti.

Quantomeno andrai via vantando di aver fatto un buon lavoro Jane.

Sistemai tutta la mia attrezzatura, feci alcune prove per trovare l'angolatura e la luce giusta, poi mi sedetti sullo sgabello in plastica che lasciavano oltre le barriere di protezione per noi addetti ai lavori e attesi.

Fu allora che avvertii il mio cellulare vibrare.

Pensai subito che fosse qualcuno dei miei colleghi, ma quando lessi sullo schermo proprio il nome di Lewis mi mancò il respiro.


Lewis - 2.57 PM

Farai il tifo per me oggi?

Me - 2.57 PM

Sì, come sempre...

Lewis - 2.58 PM

Grazie Jane

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora