Capitolo 34 - prima parte

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Germania - Giorno 4 (domenica mattina)



"Tutto ciò è imbarazzante."

"No, è necessario."

Sbuffai sonoramente ma quello non bastò ad arrestare la corsa di Toto Wolff, che imperterrito continuò a trascinarmi con forza per i corridoi del motorhome Mercedes, non badando in alcun modo agli sguardi curiosi delle persone lì presenti. Ed erano molte -tra dipendenti ed ospiti-, visto che mancavano poco meno di un'ora all'inizio del Gran Premio.

"Se magari mi dicessi le tue intenzioni..."

"Ti basti sapere che non voglio ucciderti."

"Beh, è già qualcosa!"

Toto parve non apprezzare il mio sarcasmo, infatti lo sentii borbottare qualcosa d'incomprensibile ma non mi sorpresi: era da quando mi aveva intercettato nel paddock che la sua espressione -severa e ombrosa- era rimasta immutata, palesando il suo nervosismo.

"Io dovrei essere a lavoro in questo momento!"

"Anch'io."

Fui pronta a ribattere ma lui accelerò il passo, facendomi letteralmente saltellare per rimanere al suo fianco, e con forza aprì l'ultima porta sulla destra presente in quel corridoio: era il suo ufficio.

Scrollai, finalmente, il mio polso dalla sua stretta e mi voltai per fronteggiarlo.

"Senti Toto, non so che diamine stia..."

Il suo sguardo assassino -alla faccia di chi non vuole uccidermi- mi destò dal continuare. Portò le mani sulle mie spalle e, quasi fossi una bambina, mi fece prima indietreggiare oltre la soglia dell'ufficio e poi voltare.

Trovarmi di fronte a Lewis non fu una sorpresa, anzi.

"Bene, io ho fatto quello richiesto!" sancì Toto, rivolgendosi al suo pilota. "Avete poco tempo per parlare e chiarirvi e per favore non fate sesso sulla mia scrivania."

Ovviamente si beccò un'occhiataccia da entrambi.

Portai le braccia al petto e feci per ribattere, ma Toto -essendo uno degli uomini più furbi di tutto il Circus- fu rapido nel chiudersi la porta alle spalle e scomparire.

"Da quando il megalomane Wolff prendere ordini da te?"

"Non è rimasto molto soddisfatto dalle qualifiche" rispose Lewis, con una smorfia. "Mi ha obbligato a raccontargli tutto e si è proposto di aiutarmi."

"Rapendomi!"

"Tu non rispondevi alle mie chiamate." Disse lui, scrollando le spalle.

Sbuffai, esasperata, e poggiai le spalle al muro.

Ero consapevole che non sarei uscita da lì prima di aver affrontato quella spiacevole situazione, quindi cercai di ragionare e soprattutto calmarmi.

"Parla, allora."

Lewis sospirò, poi cominciò a spiegarsi.

"Ho parlato con mio padre e, dopo alcuni contrasti, mi ha raccontato tutto" disse. "Ti chiedo scusa per non averti concesso il beneficio del dubbio: mi avevi detto che il tuo malumore fosse dovuto ad altro, invece io -sempre più convinto che tutto riguardasse la nostra futura convivenza-, non ti ho creduta e stupidamente ho cercato pure di allontanarti."

"Ci sei riuscito, in parte."

"Lo so Jane e mi dispiace, ma cavolo mettiti nei miei panni!" ribatté subito, facendo un passo in avanti. "Sabato hai ignorato ogni mia chiamata ma nel frattempo ti sei ubriacata come una ragazzina, e ti sei degnata di rispondere ai miei messaggi solo la mattina dopo, tra l'altro usando solo monosillabi!" disse, alzando il tono della voce. "E poi i giorni successivi? Boom, sparita!"

"È per quello che mi sono imbucata nella tua suite!" risposi con foga, avvicinandomi a mia volta. "Non sono stupida Lewis, so di essermi comportata in modo vergognoso e volevo chiederti scusa per ciò, volevo spiegarti cosa fosse accaduto nella mia vita ma appena ho nominato Anthony sei diventato diffidente!"

"Beh, è mio padre!" sbottò, allargando le braccia in modo teatrale.

"E quindi hai pensato subito che stessi dicendo una stronzata!" Dissi, ormai infervorata.

Lewis sospirò ancora, scuotendo la testa, ma non proferì parola.

Io rimasi immobile, con gli occhi sempre fissi sulla sua figura, nella speranza che dicesse o facesse qualcosa di concreto ma nulla.

Ed in quel momento mi sentii usata.

Perché sì, non mi ero comportata bene in quell'ultima settimana ma durante quel breve periodo la mia mente aveva dovuto -non per volontà propria- elaborare e affrontare forse l'argomento più delicato e complicato della mia esistenza e lo aveva fatto a modo proprio: isolandosi.
Sbagliato o no, quel criterio che istintivamente avevo scelto di mettere in atto mi aveva fatto sprofondare nel dolore e nella più assoluta delusione ma anche riemergere con nuove consapevolezze e forze.
Avevo creduto che una di quelle fosse proprio Lewis, ecco perché ero corsa subito da lui, ma il suo scetticismo mi aveva di nuovo affossato.
Soprattutto mentalmente.

Così, con il cuore martellante dentro al petto e le mani ormai sudate, presi parola.

"Forse è meglio finirla qui."

"Sì, anche perché tra poco c'è la parata" disse, abbassando lo sguardo e sistemando il cappellino della Mercedes che aveva in testa. "Dopo avremo tutto il tempo per continuare a parlare e..."

"No, non hai capito" lo interruppi, con una smorfia. "Forse è meglio finire qui la nostra relazione."

Lewis si bloccò sul posto e finalmente tornò con gli occhi su di me.

"Io e tuo padre non siamo mai andati d'accordo e se prima pensavo che si comportasse in modo distaccato perché ancora non mi conosceva abbastanza, oggi invece sono convinta di non piacergli proprio" spiegai, cercando di essere in quel momento quanto più sincera possibile. "Quindi penso sia meglio finirla qui, perché io non voglio farti litigare con la tua famiglia ma non voglio nemmeno stare con una persona che, a primo mio passo falso, cominci a respingermi e a non dialogare."

Sentii distintamente una lacrima scappare dalle mie ciglia, percorrere indisturbata il solco della mia guancia e bagnare la mia pelle fino al mento. Non pensai nemmeno per un istante di cancellare il segno del suo passaggio dal mio volto perché dopo quella ne scese un'altra, e ancora un'altra.

Erano la più pura manifestazione della sofferenza avvertita dalla mia anima e mostrala andava bene.

Era giusto.

Sia per me sia per lui.

L'osservai ancora per alcuni istanti, poi gli diedi le spalle.

Mi avvicinai alla porta e appena distesi il braccio verso la maniglia, avvertii la mano di Lewis stringersi all'altezza del mio gomito: senza troppe cerimonie venni strattonata e fui costretta a voltarmi di nuovo verso di lui, andando a sbatterci contro.
Ero pronta a dirgliene quattro ma quando il mio sguardo incrociò il suo, le parole mi morirono in gola: la fronte era corrucciata, la mascella duramente contratta e i suoi occhi -fin prima spaesati e quasi vuoti- sembravano ardere dalla rabbia.

"Questo discorso non finisce qui Jane" disse, con un tono di voce autoritario. "E nemmeno la nostra relazione."

Poi mi baciò.

Un solo singolo bacio prima di lasciarmi lì, con l'unica consapevolezza di aver involontariamente stuzzicato e portato alla luce la parte più arrogante del Campione del Mondo di Formula1. Un lato di Lewis Hamilton che, fino ad allora, non avevo mai visto.

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora