Capitolo 16

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Monaco - Giorno 1 (mercoledì mattina)


La confusione era la principale cosa che odiavo della vita sociale.

Per me, infatti, gli spintoni mai dati per sbaglio, i toni delle persone troppo acuti o lagnosi, i pestoni capaci di farti zoppicare per i successivi dieci passi, gli spazi ristretti, l'aria pesante e il mal di testa che ne conseguiva erano praticamente insopportabili.

Per questo quella mattina -consapevole che nella hall vi fosse un via vai di gente incontrollato e continuo- mi ero isolata in una delle tante sale a libero accesso dell'hotel: avevo portato solo il computer e il cellulare -entrambi posti sul tavolino quadrato in vetro di fronte a me- e come prima cosa avevo ordinato al cameriere un caffè espresso per mantenermi sveglia. Il mio intento era quello di portarmi avanti con il lavoro ed erano ormai venti minuti che, attraverso alcuni video presenti nell'archivio digitale dell'azienda, stavo studiando tutte le giuste prospettive di quel circuito cittadino per i miei scatti.

"Buongiorno Jane!"

Non appena sentii pronunciare il mio nome, alzai subito la testa e quando vidi la figura della donna minuta prendere posto su una delle due poltrone disponibili attorno al tavolo, quasi ebbi voglia scappare. Perché c'era solo un motivo per cui Angela Cullen fosse lì, proprio davanti a me, e io non avevo voglia di parlarne.

"Come stai?" Mi domandò, con un sorriso forzato in volto. Non la conoscevo bene, ma il suo nervosismo era abbastanza percepibile.

"Bene, grazie" risposi, poggiando il portatile di fronte a me. "Tu?"

"Il primo giorno di trasferta è sempre il più complicato!"

Io rimasi per qualche secondo in silenzio, con lo sguardo fisso su di lei -la quale sembrava essere imbarazzata in quel momento-, poi mi sistemai meglio sul posto e presi in mano la situazione.

"Angela ritengo sia inutile girarci intono: cosa vuoi dirmi?"

La donna sospirò e vidi chiaramente il suo corpo sciogliersi.

Ho fatto un favore ad entrambe nel tagliare corto.

"Vorrei sapere cos'è accaduto tra te e Lewis" disse, sporgendosi con il busto in avanti. "Pensavo andasse tutto bene! Lui era felicissimo in Spagna, non faceva altro che sorridere e scherzare, poi il lunedì dopo la gara sembrava un relitto e non mi ha voluto dire nulla!"

"Allora, forse, nemmeno io dovrei darti delle spiegazioni."

Angela sembrò esser stata presa in contropiede da quella mia constatazione, ma il suo stupore venne camuffato molto velocemente. Era abituata, d'altronde, a mostrare il lato migliore della medaglia nel suo lavoro.

"Jane, sono passati anni da quando ho visto Lewis comportarsi in modo così irruente" cominciò, con fare accondiscendente. "È taciturno con me, irritato con il padre e sembra aver annullato ogni tipo di rapporto sociale con il team! Lui non è così, non prima di una gara, quindi voglio solo sapere cos'è successo tra voi per aiutarlo!"

"E vorrei esserne al corrente anch'io."

La voce alle mie spalle era sconosciuta, ma l'accento fin troppo marcato mi fece subito capire che la persona in questione non fosse britannica. Curiosa mi voltai e quando riconobbi l'uomo -obiettivamente tutti sapevano chi fosse in quel mondo-, rimasi per alcuni istanti paralizzata.

Toto Wolff -nonché il direttore esecutivo della Mercedes- sorrise verso la mia direzione e senza aspettare una mia parola o un mio gesto, prese posto sull'altra poltrona disponibile. Fece un cenno di saluto ad Angela, poi si rivolse ancora verso la sottoscritta: mi squadrò con attenzione, come se volesse studiare e cogliere ogni minimo particolare della ragazza che -a quanto pare- aveva il potere d'influenzare il campione del mondo in carica di Formula1 e io, per non sembrare impaurita, feci altrettanto.

"Allora?" Chiese lui d'un tratto, appoggiando la schiena alla poltrona.

Spostai lo sguardo verso Angela e lei, intuendo probabilmente i miei dubbi sulla presenza del capo scuderia, mi fece un cenno con la testa.

Sospirai, consapevole di essere con le spalle al muro.

"Abbiamo litigato."

"Questo lo avevamo capito tutti" controbatté subito Wolff, spazientito. "Vorremmo però capire come una semplice litigata con te possa influenzare così tanto un pilota professionista come Lewis."

Questa volta sbuffai, fin troppo infastidita dalla situazione.

"Abbiamo litigato una prima volta per colpa sua, io non gli ho risposto per diversi giorni al telefono e venerdì scorso lui si è presentato a casa mia per chiarire, ma ovviamente abbiamo discusso di nuovo -questa volta per colpa mia- e così qualsiasi cosa ci fosse tra di noi è finita."

Wolff chiuse gli occhi e con fare disperato si passò entrambe le mani sul volto, farfugliando anche qualcosa d'incomprensibile. Angela, invece, alzò lo sguardo al cielo e cercò di non apparire melodrammatica come il suo collega.

"Quindi non vi siete più parlati?" Mi domandò lei.

Scossi la testa in risposta.

"Pensavo avessimo superato i drammi adolescenziali, invece no!" Sbuffò Wolff, con fare sconfitto.

Fu in quel momento, a causa di quel comportamento superficiale e da menefreghista, che decisi di andarmene.

"Non è colpa mia se il vostro amato pilota non riesce a concentrarsi sul suo lavoro a causa della sua vita privata" dissi, alzandomi. "Io, al contrario, lo faccio benissimo."

"Forse perché lui ti ama."

Quelle parole fecero vacillare per un istante il mio orgoglio e di conseguenza quel muro di finta indifferenza che avevo costruito in quei giorni verso Lewis. Sapevo che lui provasse qualcosa nei miei confronti -lo avevamo confessato a vicenda alcune settimane prima-, ma pensare che quei nuovi e semplici sentimenti potessero essere accostati alla parola amore, mi fece letteralmente tremare sul posto: un pò per paura e un pò per la felicità.

"Tu invece?" Mi chiese Wolff, mettendosi in piedi di fronte a me. "Lo ami?"

La mia mente si svuotò e come un'ebete rimasi ad osservare l'uomo per infiniti istanti senza proferire alcun suono. L'unico che avvertivo era il sordo tonfo del mio cuore all'altezza del mio petto, continuo e fastidioso.

Ma quando un sorrisetto soddisfatto spuntò dalle labbra del manager della Mercedes, sia la rabbia sia la mia dignità riemersero per lottare al fianco dei miei più nascosti sentimenti.

"Non sono cose che vi riguardano."

Senza concedere loro possibilità di replica, a passo svelto m'incamminai verso l'uscita più vicina della sala, con il solo intento di tornare in camera mia e restarci segregata fino al pomeriggio.

Sperando, così, di non dovermi imbattere più in nessun altro.








Angolo autrice: un capitolo di transizione (non tanto, però va bene) necessario per il continuo della storia, soprattutto perché i prossimi due saranno letteralmente di fuoco.

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora