Capitolo 30 - prima parte

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Silverstone - Giorno 3 (sabato mattina)


Perché essere in ritardo è un difetto di famiglia?

Guardando l'ultimo messaggio inviatomi da mia cugina e poi l'orologio in acciaio al polso, non potetti fare a meno di sbuffare.
Erano quasi venti minuti che mi trovavo lì, all'entrata del paddock, con le braccia strette al petto e le gambe che ormai si muovevano in modo autonomo avanti e indietro per tutto lo spazio disponibile. Sembravo una pazza, ne ero consapevole, ma sinceramente m'interessava poco.

"Mi dispiace per quest'attesa Serena!"

La ragazza con addosso il completo Mercedes -che era stata designata dal fantastico Wolff per accompagnare me e la mia famiglia in giro- alzò gli occhi dallo schermo del suo cellulare e, accennando un sorriso di cortesia, scrollò le spalle.

"Non ti preoccupare Jane, ci sarà sicuramente traffico!"

Sbuffai, di nuovo, e mi voltai per riprendere la mia nervosa camminata.

Almeno, così, riuscirò a smaltire i pancake mangiati questa mattina!

Mi fermai solo dopo quindici minuti, quando un fuoristrada rigorosamente targato Mercedes ebbe la possibilità di superare il cordone di sicurezza e così fermarsi proprio di fronte a me: un sorriso da ebete prese forma dalle mie labbra e quasi trattenni il respiro aspettando che la portiera scorrevole fosse aperta.
La prima che scese dall'auto fu mia cugina Amy, la quale non appena mi vide corse verso la mia direzione per stringermi in uno dei suoi abbracci togli respiro. Io ridacchiai, non sorpresa per quella sua reazione, ma il mio sguardo era fisso sulle altre due persone che si erano materializzate a poca distanza da noi: mia zia Claire e mio zio Harry. Entrambi, dopo aver dato una rapida occhiata a quello presente intorno, spostarono la loro attenzione su di me e non ci pensarono due volte ad avvicinarsi.

"Tesoro mio, sono così felice di vederti!" Disse mia zia, prendendo il posto di Amy.

Questa volta, però, ricambiai con più vigore l'abbraccio: non vedevo lei e mio zio da più di due mesi e nonostante ormai fossero anni che abitassi lontano da casa -prima per studio, poi per lavoro-, la loro mancanza non accennava mai a diminuire d'intensità. Erano stati i miei punti di riferimento per così tanto tempo, soprattutto durante il periodo più difficile della mia vita, che ero sicura di non poterne mai fare totalmente a meno.

"Come stai?" mi domandò, allontanandosi quel tanto per osservarmi dalla testa ai piedi. "Ti vedo in grande forma!"

"É la vostra presenza!" dissi subito. "Non sapete quanto mi siete mancati!"

Tenendo stretta la mano destra a mia zia Claire, feci un paio di passi avanti e mi buttai a capofitto tra le braccia di mio zio.

"Anche tu Canon, anche tu!" Rispose lui, facendomi ridacchiare sulla sua spalla.

Erano ormai anni che utilizzava la marca della prima macchina fotografica regalatami come soprannome.

Dopo quei piccoli momenti d'intimità familiare, Serena -la quale aveva abbandonato il proprio cellulare e riacquistato la sua solita professionalità- si presentò e, consegnati i tre badge che la Mercedes aveva personalizzato per ognuno dei miei parenti, ci guidò all'interno del paddock. Mio zio Harry, essendo un appassionato di motori, fin da subito affiancò quella povera ragazza che, con molta pazienza, non solo gli spiegò tutto quello che giornalmente accadesse lì dentro ma rispose ad ogni sua stupida domanda.

"Vedo che il tuo ragazzo ha fatto le cose in grande!"

Già, ed era talmente nervoso che per dare una buona impressione stava anche ingaggiando Toto Wolff come guida turistica.

"A proposito: dov'é?" Domandò mio zio, voltandosi verso di noi.

"Non vediamo l'ora di conoscerlo!" Aggiunse mia zia, sorridendo.

"Tra l'ultima sessione di prove e le qualifiche non aveva molto tempo a disposizione, quindi penso che lo incontrerete direttamente questo pomeriggio!"

Entrambi sbuffarono, un po' delusi, ma non lo diedero a vedere per molto perché subito tornarono a puntare lo sguardo sulla qualsiasi cosa si presentasse sul nostro cammino: zia Claire, infatti, sembrava rapita dalla quantità di stand e punti ricreativi presenti nel retro paddock -tutti ben frequentati- mentre mio zio Harry ci fece rimanere per ben dieci minuti davanti al motorhome della Ferrari -dovetti quasi pregarlo per non cercare di entrarci di soppiatto- per ammirarne ogni singolo dettaglio.

Amy, invece, aveva trascorso la maggior parte del suo tempo a squadrare ogni ragazzo carino.

"Signori Morgan le qualifiche inizieranno tra venti minuti" disse Serena, attirando l'attenzione dell'intera famiglia. "Vi consiglio di guardarle dal motorhome Mercedes, così da poterle guardare con più tranquillità e magari sgranocchiando qualcosa."

Tutti e tre si voltarono verso la mia direzione, quasi per chiedermi se quella fosse la scelta più giusta e non mi trattenni dallo sbuffare imbarazzata.

"É la cosa migliore, soprattutto perché durante le qualifiche all'interno del box c'è solo ansia e confusione" spiegai, convincendoli definitivamente. "Io, però, vi raggiungerò dopo."

"Dove vai?" Mi domandò subito mia zia, quasi preoccupata.

Sorrisi notando che il suo lato protettivo era comunque rimasto integro.

"Da Lewis" risposi, facendola rilassare. "Vado ad augurargli buona fortuna, poi torno."

Non appena li vidi allontanarsi in compagnia di Serena, mi guardai per un attimo intorno e, individuato il passaggio verso i box, m'incamminai: sapendo di essere al limite con i tempi, cercai con passo svelto di superare incolume la folla di persone che affollavano proprio quel tratto strategico ma tra le televisioni appostate per le interviste e gli ospiti, non fu per nulla semplice. Quando mi ritrovai a ridosso dell'ingresso posteriore del box Mercedes, salutai con un cenno della testa e un sorriso i pochi meccanici lì presenti e, con fare sicuro, mi diressi verso la porta bianca sulla quale vi era incollato il numero 44: non bussai, solo l'aprii con impeto e -rendendomi conto di essere fortunatamente arrivata in orario- tornai a respirare.

"Jane e le sue solite maratone."

Lanciai un'occhiataccia verso Lewis, il quale non potette fare a meno di ridacchiare.

"Dovresti almeno apprezzare lo sforzo!"

"E perché mai?" 

Continuai a guardarlo truce, portando le braccia strette al petto, poi decisi di cancellargli dal volto quel sorriso insopportabile.

"La prossima volta vado ad augurare buona fortuna a Ricciardo."

Come previsto, Lewis si mise in piedi e alzando la mani in segno di resa, si avvicinò con la testa china.

"Direi che è già abbastanza fortunato ad essere il tuo pilota preferito."

"Esagerato."

"Beh, vedila dalla mia prospettiva: è contraddittorio e snervante, ma per amor nostro lo accetto."

Scossi la nuca, ma sorrisi -imbarazzata e un pò lusingata- e Lewis fece altrettanto.

Senza aspettare un istante di più, le sue braccia mi strinsero all'altezza dei fianchi e mi tirarono letteralmente contro il suo corpo: chiusi gli occhi e poggiai la fronte sulla sua spalla, godendo del suo calore e del suo profumo per alcuni momenti.

"Tutto bene con i tuoi?" mi chiese, quasi sussurrando. "Com'è andato il viaggio? Si stanno divertendo?"

Sospirando, mi allontanai quel tanto per incrociare di nuovo i suoi occhi scuri.

"Devi pensare alle qualifiche Lewis, non a loro."

Fece per ribattere, ma l'entrata di Angela interruppe ogni nostra discussione.

"É ora."

Lewis, cogliendo volo quell'informazione, non perse ulteriore tempo: sistemò la tuta sul collo, poi afferrò il casco e dopo un respiro profondo entrò totalmente in modalità pilota.

"Farai il tifo per me?"

"Sempre."

Ed uscì dalla sala sorridendo.

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora