Capitolo 7 - prima parte

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Mi licenzieranno.

Furono quelle le prime parole che invasero la mia mente quando -con i capelli in disordine e il fiatone- mi presentai davanti al gate d'imbarco del mio volo, ormai sfortunatamente chiuso.

La mia carriera è finita.

Continuai a pensare, osservando sconsolata -dall'enorme vetrata che dava sulla pista dell'aeroporto- quello che doveva essere il mio aereo -in cui vi erano tutti i miei colleghi- decollare e prendere rapidamente quota.

Sbuffai, per la centesima volta in quegli ultimi venti minuti e con la testa bassa, mi diressi verso il centro informazioni che mi era stato indicato in precedenza: sapevo che sarebbe stato inutile -non vi era più nessun volo per Baku, avevo già controllato sul monitor delle partenze e su internet- ma in quel momento non avevo proprio la forza di allontanarmi da quel luogo.

Non con ancora addosso la consapevolezza di aver rovinato ogni cosa.

Tutto ciò per cui avevo lavorato sodo.

Tutto ciò che avevo sognato per anni.

E tutto per colpa mia.

"Buongiorno, posso aiutarla?"

Una voce calma mi destò dalla mia delusione e alzando lo sguardo, incontrai quello curioso di una donna. Deglutii, e cercai di riacquisire anche solo per pochi istanti un minimo di autocontrollo.

"Ho appena perso il mio volo, quindi volevo sapere se vi fossero altre partenze verso l'Azerbaigian nella giornata di oggi."

La signora fece un cenno con la testa, prima di cominciare a digitare sulla tastiera del PC di fronte a lei: la vidi avvicinarsi allo schermo, corrucciare la fronte e spostare lo sguardo da una parte all'altra, sicuramente intenta nel leggere qualcosa.

Io, in piedi, strinsi ancora più forte la mano sulla maniglia del mio trolley e feci di tutto per non muovermi nervosamente sul posto.

"Sì, c'è un volo!" disse, accennando un sorriso. "E partirà tra un'ora circa."

Spalancai gli occhi e dopo un attimo di smarrimento, mi sporsi verso il banco che ci divideva.

"Davvero?" chiesi, quasi con il respiro mozzato.

La donna davanti a me fece per sorridere, poi abbassò le spalle e la sua soddisfatta espressione divenne, improvvisamente, sconsolata.

"Mi dispiace, ma a quanto pare è un volo privato."

Sbuffai, e senza badare al luogo in cui mi trovassi, sbattei la nuca sulla superficie liscia e fredda del box informazioni: anche quell'ultima speranza era andata in frantumi e la consapevolezza di non poter far più nulla l'avvertivo più forte che mai.

"Grazie lo stesso." Risposi in un sussurro.

Afflitta, afferrai la mia valigia e contrariamente alle centinaia di persone che correvano da una parte all'altra, mi diressi verso una delle tante uscite con passi lenti e misurati: scelsi una delle ultime, sia per evitare la confusione che stazionava in quelli principali, sia per avere maggiori possibilità nel trovare un taxi libero e quindi tornare a casa.

Casa.

Al solo pensiero mi venne letteralmente da piangere, perché tornare in quel luogo nello stesso modo in cui l'avevo lasciato solo un'ora e mezza prima, sarebbe stata la conferma che tutto quello non era stato solo un brutto incubo, ma la semplice realtà.

E io non ero pronta a fronteggiarla.

Perché avrei dovuto chiedere scusa ai miei zii prima di spiegare loro come la mia stupidità nell'andare a letto troppo tardi e la mia leggerezza nel dimenticare d'impostare la sveglia per quella mattina fossero le principali ragioni del mio fallimento; poi avrei dovuto affrontare la loro delusione, che sicuramente accompagnata da espressioni colme di rabbia e incredulità, avrebbe provocato lo stesso effetto di decine di pugni ben assestati all'altezza dello stomaco.

Dopo avrei dovuto lottare per capacitarmi -nel minor tempo possibile- del fatto di aver letteralmente buttato via la migliore opportunità lavorativa della mia vita, così da ritrovare le forze e continuare ad andare avanti.

Ma come?

Sospirai, e una volta oltrepassate le porte scorrevoli dell'uscita, spostai lo sguardo da una parte all'altra per individuare una piazzola di servizio dedicata ai taxi.

"Jane?"

Sentendo chiamare il mio nome, mi voltai alla mia sinistra e rimasi pietrificata nel trovarmi davanti Lewis.

Lui era in piedi, con il suo solito cappellino in testa, una felpa rossa sopra una maglia bianca -entrambe firmate- e un paio di jeans strappati all'altezza delle ginocchia. Si trovava accanto all'autovettura targata Mercedes, dalla quale alcuni istanti dopo uscirono altre tre persone, tra cui Angela che non appena mi vide, mi sorrise.

"Stai bene?" mi domandò, corrucciando la fronte.

Boccheggiai, incapace di elaborare e di unire quel fatto inaspettato con tutto quello accaduto, e istintivamente abbassai lo sguardo.

Inspirai, cercando di riacquistare un minimo di senso, ed espirai.

Feci per muovermi dalla mattonella in cui sembravo essere incollata, quando avvertii una mano poggiarsi in modo delicato sul mio viso e poi con decisione sollevarlo: gli occhi scuri di Lewis, tanto simili ai miei, mi scrutarono con attenzione e preoccupazione.

"Perché stai piangendo?"

Subito portai l'indice sulla guancia e lì trovai, con sorpresa, una lacrima solitaria appena sfuggita alle palpebre.

Scossi la testa, e mi schiarii la voce.

"Ho... ho perso il volo per Baku. E probabilmente questo comporterà il mio licenziamento." Risposi, scrollando le spalle con rassegnazione.

Avvertii il suo intero corpo rilassarsi -visto che si trovava fin troppo vicino al mio- e la cosa mi confuse. Incontrai il suo sguardo, di nuovo, e quando lessi in esso sollievo e un pizzico di divertimento, feci un passo indietro così da lasciar scivolare la sua mano dal mio volto.

Lui colse subito la mia perplessità, quasi rabbia, e non rimase in silenzio.

"Beh, sei fortunata" cominciò, sorridendo. "Io ho un aereo privato pronto per partire verso l'Azerbaigian."

Fu solo in quell'istante che il mio cervello ricominciò a funzionare e a mettere in ordine tutti i tasselli del puzzle: a Londra chi altro poteva avere un proprio mezzo pronto, di mercoledì mattina, per partire verso Baku se non Lewis Hamilton?

"Stai dicendo che... posso venire con te?" gli domandai, quasi sussurrando.

Lui continuò a fissarmi per qualche istante, poi fece un singolo cenno d'affermazione con la testa.

Sembrava che tutto il mio mondo, finalmente dopo ore, avesse riacquistato colore.

Il mio battito cardiaco era come riaffiorato e potevo sentirlo forte, vigoroso, all'interno della mia gabbia toracica, e ogni muscolo del mio corpo aveva smesso di essere contratto, di essere in tensione, dandomi come la percezione di pesare dieci chili in meno rispetto a tre minuti prima.

Non potetti trattenermi e gli saltai addosso: le mie mani si strinsero dietro al suo collo e, dopo un attimo di confusione, avvertii le sua braccia circondarmi completamente; ridacchiò per quel mio gesto inaspettato e un brivido percorse il mio corpo quando sentii il suo respiro caldo infrangersi sulla pelle esposta del mio collo.

"Lewis dobbiamo andare!"

La voce di un uomo fece sciogliere il nostro abbraccio, ma non il contatto tra i nostri occhi: nei suoi potevo leggervi solo gioia ed entusiasmo.

Mi prese per mano, pronto a scortarmi, e io tornai a sorridere.








Angolo autrice: il capitolo scritto era davvero troppo lungo, così per necessità l'ho dovuto dividere in due parti. La seconda sarà caricata entro questa settimana e posso dire che, fino ad ora, è la mia preferita! Alla prossima :)

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora