Capitolo 1

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Bahrein - Giorno 1 (giovedì pomeriggio)


Erano trascorsi nove giorni da quella notte, e nulla più era accaduto.

Non che mi aspettassi di ricevere una chiamata o un mazzo di fiori da parte di un ragazzo che, probabilmente, non ricordava nemmeno cosa avesse fatto o con chi fosse stato, ma nel momento in cui i miei ricordi divennero decifrabili e nitidi, non potetti pensare ad altro.

E l'unica domanda che mi frullava in testa era: perché lui?

Durante quella festa -a cui avevo partecipato solo per dar piacere ai miei colleghi- avevo conosciuto molte persone legate al mondo dell'automobilismo, come giornalisti, ingegneri e organizzatori, e con alcuni di loro mi ero anche fermata più del dovuto, quindi perché proprio lui?

Perché un uomo terribilmente famoso che, da quanto avevo letto sui siti di gossip, si presentava come un prepotente egocentrico?

Uno che trascorreva la maggior parte del suo tempo a pubblicare scatti di sé stesso sui social, con quasi sempre mezzo corpo scoperto?

Che balzava da una serata di divertimento all'altra solo per stare al centro dell'attenzione?

Che si presentava con un'accompagnatrice diversa ad ogni evento?

Ho già detto che la prossima volta non berrò alcol alle feste?

Sospirai e con fare piuttosto plateale, sbattei la fronte sul tavolo.

L'unica mia consolazione era che accaduta una volta, tutta quell'irrealistica faccenda non si sarebbe mai ripetuta.

"Pronti per lavorare? Tra venti minuti dobbiamo scendere in pista!"

Sobbalzai sul posto all'improvviso urlo di Jake, il nostro vice direttore.

"Ci servono un cameraman, un assistente e un video assist; in più, abbiamo visto, ci sono diversi piloti che con le loro squadre si stanno preparando per la track walk, quindi tu dovrai venire con noi Jane!"

Esattamente con la stessa vitalità con cui aveva fatto irruzione nella stanza, Jake si dileguò.

Alcune delle persone presenti attorno a me si misero in piedi e abbandonando i compiti che stavano svolgendo, cominciarono a preparare le varie attrezzature.

Io rimasi per alcuni instanti al mio posto poi, con un impercettibile sbuffo, andai a recuperare la mia macchina fotografica: staccai il filo del caricatore e la presi in mano, controllando se si fosse surriscaldata o meno; poi, scrutando i tre diversi obiettivi che avevo portato con me da casa scelsi quello migliore per l'occasione.

Esattamente dieci minuti dopo, io e i miei colleghi lasciammo lo Sky Box -il luogo dove tutti noi ci rifugiavamo prima e dopo i vari servizi- e c'incamminammo verso la pit lane; questa era abbastanza vicina, soprattutto perché la base il nostro Team aziendale si trovava confinante con i motorhome delle principali scuderie.

Quando arrivammo all'entrata dei box, venimmo identificati dagli addetti alla sicurezza per poter accedere oltre. Individuammo subito i nostri colleghi, già posti nelle vicinanze della linea del traguardo: c'erano Simon e David -i principali conduttori della diretta- in compagnia dell'esperto e analista Paul di Resta. Mentre loro discutevano su qualcosa riguardante l'imminente servizio insieme ai cameraman, io mi guardai intorno: la prima cosa che mi era stata insegnata durante i due corsi di fotografia frequentati a Londra, era di studiare il campo di lavoro e, trovandomi in quel momento sul lungo rettilineo adiacente ai box, sospirai delusa; da lì, infatti, non vi era nessuna buona prospettiva per gli scatti che avevo in mente.

Con pazienza, quindi, cominciai a seguire la troupe per tutto il loro tragitto, non badando minimamente ai discorsi che i commentatori stavano facendo sulla temperature dell'asfalto e sulla sua pendenza.

Non appena arrivammo all'altezza della quinta curva, però, tutto si fece interessante: non solo perché il tracciato prendeva una forma più complessa rispetto alla parte precedente, ma anche per la presenza di alcune squadre e piloti a lavoro. In lontananza potetti vedere il rosso delle tute Ferrari, invece nelle nostre vicinanze vi erano sei persone con addosso gli indumenti targati Red Bull: afferrai la macchina fotografica e, distanziandomi un pò dalla mia troupe, cominciai a scattare quante più foto possibili a Daniel Ricciardo.

Quel particolare pilota era il più adorabile che avessi mai visto.

Ogni qual volta guardavo una sua intervista, un sorriso complice compariva sul mio volto perché aveva la particolarità di saper utilizzare il suo spontaneo sarcasmo anche nelle condizioni più avverse e ciò era il motivo principale per cui quasi tutti i fans di Formula 1 lo amavano.

Compresa io, ovviamente.

Soprattutto quando si voltò proprio verso la sottoscritta e si mise in posa, ampliando il suo sorriso e alzando il pollice della mano destra. Era così buffo che anche i suoi ingegneri si divertirono guardandolo.

Con un cenno della testa lo ringraziai e con il cuore che batteva all'impazzata, continuai a percorrere la pista in scia con i miei colleghi.

Un paio di curve più avanti incontrammo Lance Stroll, appartenente alla scuderia Williams, e inevitabilmente rallentammo: Paul e Stroll erano stati compagni di squadra solo per una gara l'anno precedente, in Ungheria, ma quanto pare tra i due si era instaurato un ottimo rapporto visto che, senza troppe storie, Lance rispose volentieri alle varie domande poste dal primo.

Fu proprio durante uno degli scatti che riservai ai due uomini che, dall'angolo dell'obiettivo, lo vidi.

Oh merda!

Lewis Hamilton.

Inconsciamente abbassai la macchina fotografica, portandola all'altezza del seno, e il mio intero corpo si voltò verso di lui: indossava un paio di jeans scuri, la solita maglia bianca della scuderia Mercedes e in mano teneva una bottiglietta d'acqua.

Nonostante il suo abbigliamento piuttosto semplice, sembrava esser uscito da una delle tante sfilate a cui era solito partecipare -sì, avevo fatto delle ricerche in merito- e la fiducia che trasudava ad ogni passo, lo faceva apparire più sexy. Forse il principale motivo per cui fossi finita nel suo letto.

"Alla nostra sinistra è sbucato anche Hamilton!" disse David verso la telecamera, alzando di proposito la voce.

In coro, gli altri presenti lo salutarono e il pilota, sicuramente costretto, voltò lo sguardo verso l'intera troupe e accennò un saluto.

Poi, con due dita della mano, abbassò gli occhiali da sole a lenti scure e sorrise verso la mia direzione.

"Ciao Jane!"

E mi sentii mancare la terra sotto i piedi.

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora