Capitolo 38

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Belgio - Giorno 3 (sabato mattina)


L'Eau-Rouge e la Raidillon sono due delle curve più folli esistenti.
Molti appassionati di corse sostengono che siano uniche, sia per il modo in cui sono state pensate e costruite -dal rettilineo precedente appaiono come un muro invalicabile, alto quasi ventiquattro metri e con un dislivello di duecentoquaranta- sia per la capacità d'estrapolare ulteriormente il talento e il coraggio dei singoli piloti -non è una segreto che, solo i migliori, tendono a percorrerle alla massima velocità-. Molti altri, ancora, le ritengono spettacolari ed eccitanti tanto da far venire la pelle d'oca non solo alle persone che si trovano lì, sul posto, ma anche a quelle comodamente seduti sul divano di casa propria.

Io, fidandomi di quei pareri, lo avevo sempre sperato.

Perciò appena messo piede in Belgio, avevo atteso con trepidazione il momento in cui mi sarei trovata nella postazione di lavoro vicino ai box, proprio in prossimità delle due curve.

Mai avrei immaginato di potermene pentire.

Davvero mai.

Ti prego Jane, non vomitare nei prossimi quindici minuti!

Respirai profondamente, cercando di riacquisire un minimo di controllo del mio corpo e soprattutto della mia mente. Dovevo resistere, era fondamentale non crollare nel bel mezzo della pitlane, ma per farlo avevo capito di non poter alzare lo sguardo verso la pista.
Il motivo?
Uno talmente semplice e scontato che non avevo preso in considerazione fino a quando non mi si era presentato davanti.
Letteralmente.

"Lewis mancano cinque minuti alla fine" sentii dire a Peter, seduto al muretto della Mercedes. "Ultimi due giri, uno veloce e uno lento."

Ascoltando quelle parole, ricominciai ad avere la tachicardia.

Stringendo tra le mani la mia macchina fotografica -che rischiavo seriamente di rompere-, mi costrinsi ad alzare la nuca e a puntare, di nuovo, gli occhi sull'Eau-Rouge e la Raidillon: transitarono prima una McLaren, poi le due Force India -con i loro colori sgargianti individuabili ovunque-, poi la RedBull di Ricciardo e poi, finalmente, si sentii il rombo del motore Mercedes.

"Okay Lewis, adesso."
Mi sporsi verso sinistra e quando riconobbi la Freccia d'Argento con il numero quarantaquattro stampato sul davanti, il mio intero corpo s'irrigidii.

Eccolo lì, il famoso motivo.

L'unico talmente importante da farmi morire d'ansia e di paura.

Ero consapevole che il tutto accadeva in pochi secondi, così quasi inconsapevolmente trattenni il respiro e mantenni gli occhi fissi sulla monoposto: la vidi affrontare il rettilineo, poi spostarsi sulla destra e aggredire il cordolo sulla sinistra in entrata dell'Eau-Rouge e ancora muoversi, subito, di nuovo verso destra alla Raidillon.

Fu in quel preciso istante che i miei più grandi timori presero forma.

Lewis entrò con troppa violenza sul cordolo e la sua vettura, sottoposta ad una forza aerodinamica non indifferente, venne destabilizzata e -per quello che percepii come un tempo indefinito- scosse da una parte all'altra della sua stessa traiettoria.

Spostai immediatamente lo sguardo verso il maxi schermo posto vicino alle tribune e constatando che Lewis avesse ripreso il pieno controllo della monoposto, buttai fuori tutta l'aria trattenuta.

Per un istante mi sentii meglio, più leggera.

Poi mi alzai di scatto e, con una mano alla bocca, corsi verso il box Mercedes.

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora