Capitolo 12

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Quando non ero in giro per il mondo a scattare fotografie, amavo trascorrere la mia domenica pomeriggio proprio in quel modo: seduta sul divano, con addosso una tuta non del tutto alla moda e una pacchetto di snack tra le mani, e con lo sguardo puntato sulla televisione.

Era rilassante e anche intimo, ed era quello di cui avevo bisogno dopo una settimana trascorsa tra alti e bassi.

Certo, dopo la chiamata di Lewis ricevuta un paio di giorni prima e la sua semi proposta di trascorrere del tempo insieme, non avevo immaginato di passare l'intero week end segregata in casa a pulire, ingrassare e dormire, ma visto le circostanze che si erano create mi andava più che bene. Sì, perché se un uomo -seppur offeso- rifiuta le tue chiamate e non risponde a nessun messaggio, significa che probabilmente non è poi così interessato. Quindi meglio lasciar perdere.

O almeno era quello che continuavo a ripetermi in mente da sessantacinque ore, sotto consiglio di mia cugina.

Mi diedi della stupida nel pensare ancora a quella situazione e ingerendo un'altra pallina al formaggio, mi concentrai maggiormente sulla trama della serie tv che stavo guardando.

Fu in quel momento che il citofono del mio appartamento suonò.

Controllai sul cellulare l'ora -quasi le otto di sera- e controvoglia mi alzai, camminando verso la porta.

"Chi è?" domandai, afferrando la cornetta bianca attaccata alla parete.

"Jane, sono Lewis" Parli del diavolo e spuntano le corna! "Posso salire?" Chiese con un tono di voce imbarazzato e preoccupato.

Ero imbambolata, incredula e confusa.

Lewis Hamilton -quattro volte campione del mondo di Formula1- si trovava davanti al portone di casa in attesa di una mia risposta e l'unico pensiero sensato che circolava nella mia mente annebbiata era formato da tre parole: non è possibile.

"Jane?"

Il suo richiamo mi fece premere d'istinto il piccolo pulsante con su rappresentata una chiave e senza dire una parola, riposi l'apparecchio al suo posto.

"Oh mio Dio è qui..." dissi a me stessa in un sussurro. Mi guardai intorno, cercando di riordinare le idee, ma non ci riuscii. "Come cavolo si permette a venire qui?" sbottai, questa volta con un tono di voce molto più alto.

Chiudi gli occhi e cominciai a contare fino a dieci, usando le dita delle mani.

Forza Jane, fai vedere a questo tizio chi sei!

Con un gesto secco abbassai la maniglia della porta e l'aprii; dovetti aspettare solo pochi secondi, poi l'ascensore si fermò al quarto piano.

Percepivo il mio cuore battere all'impazzata e quando Lewis mise un piede sul pianerottolo, se possibile andò più veloce. Non appena i suoi occhi si posarono su di me, potetti leggere in essi sorpresa e anche un pizzico di preoccupazione.

"Ehi..." disse, facendo un paio di passi nella mia direzione.

Indossava un paio di jeans chiari -strappati alle ginocchia-, una felpa rossa, un cappellino bianco e in mano teneva una busta di carta del McDonald's.

"Ciao..." lo salutai e mi spostai di lato, facendogli capire di poter entrare.

Lewis, con la testa china, si affrettò nel varcare la soglia di casa mia ma rimase immobile all'entrata. Chiusa la porta, lo superai e mi posizionai proprio accanto al divano in cui ero seduta pochi minuti prima, in piedi e con le braccia strette al petto.

Inspirai ed espirai, poi alzai lo sguardo su di lui.

"La prima domanda che vorrei porti è come fai a sapere dove abito, ma onestamente non so se voglio davvero saperlo..." esordì, mantenendo la voce ferma. "Quindi passiamo alla seconda: che cosa ci fai qui?"

Brava Jane, così mi piaci! Tosta!

Lewis sospirò, non sorpreso di trovarmi così agguerrita, e fece ancora ulteriori passi per essermi più vicino.

"Sono venuto per chiederti scusa" rispose, con gli occhi puntati sui miei. "In questi ultimi giorni mi sono comportato da stupido e mi dispiace." Continuò, senza giri di parole.

Deglutii ma non mi scomposi. Anzi, decisi di attaccare ancora.

"Sei stato un insopportabile stronzo permaloso e poi per quale motivo? Solo perché ho detto di preferire un altro pilota a te?"

Lui cominciò a muoversi sul posto, visibilmente nervoso, tanto da spostare lo sguardo su ogni angolo del mio appartamento tranne che sulla sottoscritta.

"E' una cosa che non mi capita spesso..."

"Stai scherzando, vero?"

Lewis boccheggiò.

"Beh, con le altre non ho mai avuto..."

Non lo lasciai terminare, ovviamente.

Con uno scatto degno di un centometrista olimpionico, mi catapultai verso di lui e senza badare alla sua improvvisa sorpresa, gli strappai con forza la busta che teneva stretta nella mano destra. Gli diedi subito le spalle e con passi veloci mi diressi verso la cucina.

"Jane!" Sentii Lewis richiamarmi e sapevo che mi stesse seguendo. "Jane per favore..."

"La porta è lì, puoi andare."

Continuai a non guardarlo, quindi aprii un'anta per prendere una tovaglietta di pezza e un bicchiere di vetro e li posai entrambi accanto al sacchetto di carta.

"Andiamo Jane, lo so che ho sbagliato e ti prometto..."

"Ti ringrazio per avermi portato la cena, ma penso che tu abbia detto abbastanza stronzate per oggi." Dissi, cominciando a sistemare tutto il cibo davanti a me.

"Quelli sono il mio panino e le mie patatine fritte."

"E la coca cola?"

"Sempre mia."

Scrollai le spalle con fare del tutto indifferente e poggiando le labbra sulla cannuccia bianca, presi posto a capotavola.

"Eri seria, vero?"

Il tono di voce di Lewis era divertito, così alzai lo sguardo verso di lui: era poggiato con entrambe le mani sulla sedia di fronte alla mia, con la schiena piegata in avanti e con un sorriso stampato in volto.
Piegai la testa di lato e corrucciai la fronte, molto sorpresa da quella sua reazione.

"Insomma, mi hai davvero detto che devo andarmene?"

"Oh quello: certo che sì!" risposi, portando in bocca una patatina cosparsa di maionese. "Ero già arrabbiata prima che venissi, adesso -dopo aver ascoltato le tue meravigliose scuse- lo sono ancora di più."

"Se ti dicessi altre cento volte che mi dispiace, mi perdoneresti?" mi chiese, continuando a guardarmi.

Piegai un gomito sul tavolo e poggiai il mento sul palmo della mano, sorridendo a mia volta.

"No, ma potrei farlo qualora tu decidessi di passare dalle parole ai fatti."

Lewis ridacchiò e si mise in piedi, sistemando il cappellino in testa. Fece alcuni passi indietro, fino a quando non arrivò proprio accanto alla porta dell'appartamento.

"Allora troverò il modo giusto."

"Dovrai applicarti molto signor Hamilton!"

Lui non disse nient'altro, solo abbassò la maniglia e con un gesto della mano mi salutò, uscendo da casa mia.

Sapevo, però, che lo avrei rivisto presto e la cosa mi metteva di buon umore.

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora