Capitolo 25

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Le Castellet - secondo giorno (venerdì sera)


"Mi dispiace, ma le ripeto che non può accedere."

Era la settima volta -sì, le avevo contate- che quella ragazza mi negava l'accesso al motorhome della Mercedes, e tutto per due incredibili sviste: non solo il pass consegnatomi dello staff di Lewis era considerato di tipo standard -quindi non abbastanza confidenziale per permettermi l'accesso ai piani privati-, ma in più il mio nome non figurava sulla lista degli ospiti.

Per carità, ammiravo con quanta diligenza e professionalità ella svolgesse il suo compito, ma dopo una giornata di lavoro, l'essere bloccata per infiniti minuti lì mi faceva venire voglia di urlare dalla disperazione.

"Lewis è qui?" le chiesi, sbuffando. "Può, per favore, chiamarlo? Lui o la signora Cullen?" continuai cercando di essere quanto più colloquiale possibile.

Avevo provato privatamente a contattarli, ma sembrava che entrambi avessero dimenticato i cellulari chissà dove!

"No" rispose secca, accennando un falso sorriso. "Non sono autorizzata a darle informazioni sul personale dell'azienda e nemmeno a disturbare in presenza di estranei."

Strinsi le mani a pugno e cercai di non esplodere.

"Senta, io devo entrare perché..."

"Certo, e io devo lavorare!" m'interruppe lei, abbandonando per prima le buone maniere. "Sicurezza!"

Rimasi ferma sul posto, completamente interdetta per quanto stesse accadendo. Quasi a rallentatore mi voltai alla mia destra e notando l'uomo impostato, vestito di nero, che con passi lunghi e decisi si avvicinava sempre più alla sottoscritta, chiusi gli occhi impotente.

Perché sempre a me?

Non prestai attenzione nemmeno alla conversazione che quei due ebbero, solo continuai a ripetermi quella domanda nella testa fin quando non avvertii la grande mano dell'uomo stringersi sul mio braccio.

Almeno fatemi andare subito in hotel, per favore!

Non appena misi un piede fuori dalla struttura mobile, però, un'inconfondibile voce alle mie spalle mi fece arrestare il passo.

"Jane!" sentii urlare e in quel momento ebbi la voglia di accasciarmi a terra per la disperazione. "Ehi, ehi, aspetta!"

Mi voltai, di nuovo, ma il mio istinto omicida si attenuò notando l'imbarazzo e la confusione dipinte sul volto dell'addetta alla reception.

"Che cosa sta succedendo?" Domandò Lewis, fulminando con lo sguardo l'uomo che ancora mi teneva agganciata.

"Mr. Hamilton, ho dovuto negare l'accesso a questa persona poiché estranea alla nostra..."

"É la mia fidanzata!" la interruppe e, casualmente, un istante dopo il mio braccio fu libero da ogni restringimento fisico altrui. "Quindi farà bene a segnarsi il suo nome perché lei entrerà qua dentro quando e come vuole, intesi?"

La ragazza annuì e subito fece come le era stato suggerito. Io, invece, scossi la testa infastidita: odiavo quando impersonava il grande campione di Formula1 a cui tutto è dovuto solo perché famoso, ricco e impertinente.

Senza aspettare oltre, infatti, cominciai a camminare verso le scale che avrebbero portato al piano superiore dove sapevo vi fosse una zona apposita per Lewis e il suo staff. Lui, ovviamente, mi era stato alle calcagna per tutto il tempo e nonostante avesse richiamato il mio nome più volte, non mi voltai.

Lo feci solo quando arrivammo di fronte alla porta che sapevo fosse attrezzata come studio fisioterapico per i suoi massaggi pre e post gara, e incurante di chi potesse esserci lungo quel corridoio, lo fronteggiai.

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora