Capitolo 26 - prima parte

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"Quindi non mi dirai dove siamo diretti, vero?"

"No Jane, te l'ho già ripetuto decine di volte: è una sorpresa."

"E se mi sedessi sulle tue gambe, come avevi chiesto prima?"

"Ora non lo farei nemmeno se decidessi di portarmi in camera."

"Ho capito" sbuffai, alzando le mani in segno di resa. "Che poi devo ancora capire come fa a starci un letto matrimoniale su un jet..." borbottai, guardando fuori dal finestrino quadrato.

Lewis, seduto accanto a me, ridacchiò e circondando le mie spalle con il braccio, mi fece di nuovo poggiare la testa sul suo petto.

"Non pensarci troppo, lo scoprirai presto."

Obiettivamente, era più facile a dirsi che a farsi.

Fin da quella mattina, da quando lui si era presentato nella mia camera d'albergo e mi aveva comunicato di non dover prendere parte al volo di ritorno con la squadra di Sky, i miei neuroni stavano impazzendo. Prima -considerate le sue velate minacce contro il mio capo- ero stata così terrorizzata dall'idea di non avere più un lavoro che avevo cominciato ad urlargli contro; poi, dopo esserci chiariti e aver discusso di questa fantomatica sorpresa, ero rimasta confusa nel trovarmi anche lo staff di Lewis sul jet, compreso il padre Anthony che non la smetteva di squadrarmi con fare giudicante.

Quella situazione, sinceramente, stava sempre più diventando insopportabile -quell'uomo passava la maggior parte del tempo ad andarmi contro su tutto-, ma non volendo essere la causa di spiacevoli diverbi, soprattutto nel bel mezzo di una stagione automobilistica complicata come quella, avevo deciso di tacere i miei dubbi e di rimandare un'evitabile discussione.

"Siete pregati di allacciare le cinture di sicurezza signori, stiamo per atterrare."

La voce dell'hostess mi riscosse dai miei pensieri e analizzando in mente le sue parole, non potetti che essere confusa da esse.

"Ma siamo qui sopra da meno di un'ora!" Dissi, scostandomi da Lewis.

Lui non rispose, ma dalla sua espressione tirata intuii che stesse cercando di non scoppiare a ridere. Offesa feci una smorfia e incrociai le braccia al petto, imponendomi di non aprire più bocca, e mi voltai completamente verso il finestrino: osservai il mezzo subentrare in mezzo alle nuvole bianche, oltrepassarle come se fossero zucchero filato, affacciarsi sulla città e piano piano sorvolarla, fino a quando le due ruote del carrello non toccarono l'asfalto della pista d'atterraggio.

Pochi minuti dopo, appena l'hostess tornò per informarci di essere arrivati a destinazione, solo Lewis si alzò e io ne rimasi stranita. Il mio sguardo, infatti, si spostò da lui ad ogni singola persona presente lì sopra ma tutte continuarono a leggere o lavorare, completamente disinteressate.

"Quindi? Adesso che si fa?" Gli chiesi, ancora immobile sul sedile.

"Scendiamo, no?" Mi rispose sorridendo.

L'osservai recuperare i bagagli -nello specifico solo il mio e il suo- e consegnarli nelle mani di uno steward, poi tornare con l'attenzione su di me.

"Dai andiamo!"

Io, ancora confusa, sganciai la cintura di sicurezza, recuperai il cellulare e le cuffie dal tavolino per conservarli in borsa e mi alzai, afferrando quasi in modo istintivo la mano che Lewis mi aveva porto.
"Buon divertimento piccioncini!" Disse Nicolas, mostrando un sorriso divertito sul volto. Lo stesso che era presente sul volto di Angela.

E fu in quel momento che capii.

Feci per parlare, ma Lewis -fulminando con lo sguardo il fratello- mi afferrò per le braccia e mi spinse con poca grazia verso l'uscita del jet; scesa la scaletta, mi guardai intorno per cogliere anche un minimo particolare che mi facesse capire dove fossimo, ma la pista dov'eravamo atterrati sembrava essere secondaria o adibita solo a voli privati, perché la vera struttura dell'aeroporto era molto distante da noi.

Mai una cosa semplice con questo ragazzo, mai!

Seguii Lewis verso la Mercedes nera che stava lì -da chissà quanto tempo- ad attenderci. Salutammo entrambi con una stretta di mano il conducente, il quale ci domandò cordialmente come fosse andato il viaggio, e poi prendemmo posto sui sedili posteriori.

"In questo momento mi sento una stupida."

"Perché?"

"So che siamo ancora in Francia, ma non riesco a capire bene dove visto che qui intorno non c'è nulla di rilevante."

Lui sorrise e afferrò di nuovo la mia mano.

"Lo scoprirai tra una decina di minuti e vedrai, ti piacerà!"

"Sei molto sicuro di ciò..." borbottai, incrociando il suo sguardo.

"Ti conosco Jane!" Ribatté, avvicinandomi al suo fianco.

"Okay, mi arrendo!" dissi, con una smorfia in viso. "Però vorrei almeno sapere come hai fatto a convincere il mio capo a concedermi queste ferie extra!"

"Beh, è stato semplice: lui ha ricattato te e io ho ricattato lui" rispose, scrollando le spalle. "E poi non sono solo due giorni: hai anche l'intero week end di Silverstone libero."

Raddrizzai di scatto la schiena e mi voltai completamente verso di lui, colpendolo anche con un ginocchio all'altezza della coscia destra.

"Che cosa?" Urlai senza ritegno, facendo sobbalzare anche il conducente.

"Giovedì, venerdì, sabato e domenica: così avrai tutto il tempo per stare con la tua famiglia."

Mi ci buttai addosso -e lui sembrava non aspettasse altro- e mi aggrappai al suo corpo, stringendolo contro il mio: Lewis ridacchiò e dopo avermi sistemata per bene sopra le sue gambe, cominciò a lasciare numerosi baci sul mio collo.

"Ovviamente spero mi concederai almeno cinque minuti al giorno..."

"Sei sicuro?" gli chiesi, corrucciando la fronte. "Mi sopporterai per le prossime quarantotto ore, quindi potresti anche cambiare idea!"

"Non credo" rispose subito, seriamente. "Ho organizzato questi due giorni di relax lontano da tutti proprio per stare con te e sono già convinto che non saranno abbastanza."

Alzai la nuca verso di lui e lo guardai negli occhi: era incredibile come il suo sguardo fosse sincero in quel momento, come la spensieratezza che vi potevo leggere dentro si mostrava anche in ogni suo piccolo gesto e di come l'amore -perché sì, di quello oramai si trattava- non mi faceva più preoccupare o impaurire, ma solo gioire. Ed era altrettanto stupefacente che quelle stesse sensazioni lui potesse trovarle nei miei occhi.

Così gli presi il volto tra le mani e lo baciai sulle labbra con una dolcezza mai usata prima.

"Sei fantastico."

"Lo so" rispose, non abbandonando mai la sua ricca autostima. "E sono sicuro che dopo aver visto quella, lo penserai ancora di più."

Con lo sguardo seguii la direzione che puntava il suo indice, oltre il finestrino alla mia sinistra, e ovviamente -per soddisfare la mia insana curiosità- mi sporsi subito.

"O mio Dio..." dissi, portando una mano a coprire la bocca spalancata. "Quella è la Tour Eiffel!"

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora