Capitolo 11

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Mancava poco alla fine di quell'ennesima giornata lavorativa e io, sinceramente, non vedevo l'ora.

Non solo perché per l'intero pomeriggio avevo cercato di svagarmi con qualsiasi gioco interessante trovassi sul cellulare -annoiandomi lo stesso a morte-, ma soprattutto per le continue lamentele del mio compagno di stanza. Louis, infatti, era ancora intento a catalogare le migliori foto scattate a Baku -contrariamente alla sottoscritta che aveva terminato i suoi doveri due giorni prima- e più il tempo passava, più lui risultava indeciso e nervoso e assolutamente insopportabile.

"Basta, sono stanco! Scelgo queste!" urlò l'uomo, sbattendo le mani sulla scrivania e mettendosi in piedi.

Io non mi scomposi, ma pregai segretamente che quelle parole -pronunciate per la quinta volta nelle ultime otto ore- fossero veritiere.

"Sono cinquanta e descrivono tutto il week end passato!"

Quasi ebbi la voglia di sbattere la testa contro qualsiasi superficie solida presente attorno a me.

"Ne avevano richieste solo trenta..." Lo informai, sospirando.

Louis spostò il suo sguardo su di me, poi dopo alcuni istanti si risedette sulla sedia nera. Rimase in silenzio, con i gomiti piegati sulla scrivani e la testa sorretta dalle mani, e io non potetti fare a meno di guardarlo confusa: per me era stato abbastanza semplice catalogare i miei scatti e non riuscivo sinceramente a capire come un uomo della sua esperienza avesse ancora problemi con un compito così elementare.

Beh, c'è da dire che la maggior parte delle mie foto riguardano Lewis...

Al solo suo pensiero, un sorriso spuntò sul mio volto.

Lewis, infatti, aveva vinto la gara disputatasi a Baku -la prima per lui dell'anno- e io con entusiasmo avevo scelto di catalogare molti degli scatti cui lo presentavano: sia durante il giro d'onore, sia una volta sopra al podio. In privato ne avevo inviata una anche a Lewis stesso -la mia preferita, con lui intento a baciare il trofeo con gli occhi chiusi- ed ero rimasta senza fiato quando, un paio d'ore dopo, l'avevo vista pubblicata sul suo profilo Instagram, con tanto di riferimento a una fotografa speciale.

Inutile dire che per la felicità avevo saltellato per ben dieci minuti all'interno della mia camera d'albergo come una ragazzina.

Nonostante ciò, però, prima della mia partenza verso Londra non eravamo riusciti a vederci, ma in quei quattro giorni trascorsi l'uno lontano dall'altra eravamo rimasti in contatto per tutto il tempo.

"Pensi che riuscirò mai a terminarlo?"

La voce sconfitta di Louis mi destò dai miei pensieri e mi costrinse a voltarmi verso la sua direzione. Feci per incoraggiarlo ma non appena avvertii il mio cellulare squillare, tutta la mia attenzione si spostò su di esso: leggendo il nome di Lewis sullo schermo, un ampio sorriso prese forma dalle mie labbra e dimenticandomi del mio collega, presi l'aggeggio tecnologico e con passi veloci uscii dall'ufficio.

"Pronto?"

"Ciao Jane!" La sua voce -anche attraverso il cellulare- si presentava calda. "So che ancora il tuo orario di lavoro non è terminato ma se non ti avessi chiamato ora, avrei dovuto farlo direttamente domani e sai, non volevo aspettare troppo."

"Non ti devi preoccupare per quello! Sono quasi tre ore che ho smesso di fare qualcosa di produttivo!" dissi, arrivando davanti ai pannelli in vetro che davano sulla strada. "Come procedono i tuoi impegni a Los Angeles?"

"Oh benissimo! Infatti sto per salire sull'aereo e tornare a casa!"

Io corrucciai la fronte, confusa, e cominciai a camminare avanti e indietro per tutto lo spazio a disposizione.

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora