Capitolo 32

2.5K 91 0
                                    

Non sapevo da quanto tempo fossi lì -seduta su quello scomodo sgabello in legno, con la gamba sinistra a penzoloni ed entrambi i gomiti poggiati sul bancone- e nemmeno il numero esatto di bicchieri che avessi mandato giù -ognuno consentente un tipo differente di birra, tanto per sperimentare-, ma sinceramente non m'importava.

Perché avrebbe dovuto?

Nella mia testa, in quel momento, vi erano ben altri pensieri.

"A quanto pare, sei come tua madre."

Odiavo quella frase.

Erano giorni, ormai, che mi perseguitava incessantemente e più cercavo d'ignorarla, di allontanarla o -nella peggiore delle circostanze, quando non riuscivo proprio a respingerla- di distaccare ogni mia emozione da essa, più la rabbia e la delusione esplodevano: non solo a causa dell'improponibile paragone tra me e quella donna, ma soprattutto perché quel vaso di Pandora era stato aperto da Anthony Hamilton.
Tra tanti proprio lui.

Quando si dice oltre al danno, la beffa.

Non a caso, avevo già rotto il mio portatile e litigato con i miei zii.

"Volevamo dirtelo Jane, ma non volevamo farti soffrire ancora."

Sbuffai e senza troppe cerimonie, terminai l'ennesimo boccale.

Quando quella mattina ero giunta davanti alla porta di casa, loro avevano capito subito che qualcosa non andasse e squadrandomi avevano escluso che il mio malumore fosse collegato alla mia relazione con Lewis o alla festa di compleanno di Amy. Come solito non avevano perso tempo in chiacchiere inutili, mi avevano subito domandato che cosa fosse accaduto ed io li avevo accontentati: inutile dire che entrambi, intuendo il discorso e il soggetto, impallidirono.

"Oh Dio, finalmente ti ho trovata!"

La voce squillante di mia cugina alle mie spalle non mi sorprese, anzi.
Nelle ultime ore avevo ignorato ogni sua chiamata e ogni suo messaggio ma sapevo che tutto ciò non sarebbe bastato per fermarla.

"Che diavolo ci fai qua?" domandò ancora, prendendo posto e sbattendo sul bancone la borsa griffata. "Sono tornata a casa e i miei erano disperati! Mamma piangeva e continuava a chiamare il tuo nome senza sosta e papà non è riuscito a dirmi nulla!"

Era accanto a me, avvertivo il suo sguardo addosso, ma non mi voltai.

Solo presi il boccale ormai vuoto, lo spinsi in avanti e feci segno al barista.

"Un'altra per me e un qualcosa di forte per lei."

Il ragazzo, confortato dal fatto che ci fosse finalmente qualcuno insieme a me, mi rispose con un cenno del capo e si mise al lavoro.

"Jane?" Mi richiamò, questa volta con un tono di voce più docile. "Cos'è successo? Perché non rispondi a nessuno? Sono tutti preoccupati!"

Sospirai, ma la ignorai.

Amy, nonostante il suo carattere esplosivo e istintivo, si limitò a rimanere seduta sul suo sgabello e ad aspettare, in totale silenzio.

Non mi sfuggii, però, il momento in cui prese il suo cellulare e inviò lo stesso messaggio a due contatti differenti: Lewis e mia zia Claire, ma leggere sullo schermo la parola mamma mi costrinse a reprimere un istinto di vomito.

Che non riuscii a controllare del tutto.

"Sai che mia madre si è costruita una nuova vita in America?" Sbottai, appunto.

Mia cugina, in risposta, quasi si affogò con il suo cicchetto di tequila.
Dopo un colpo di tosse e qualche respiro profondo, la vidi asciugarsi le labbra con un tovagliolo e poi mostrare senza riserve la sua espressione sconvolta.

"Non ho capito..."

Risi amaramente ascoltando quella frase.

"La mia madre biologica -la stessa che mi ha parcheggiata a casa vostra con la scusa di essere troppo addolorata per la perdita del marito- vive dall'altra parte del mondo e si è rifatta una vita: adesso è sposata con l'amministratore delegato di una grossa azienda, ha due figli e, a quanto pare, è felice."

Amy non si aspettava una notizia di tale portata e il suo silenzio -lasciarla senza parole era davvero difficile- insieme alla bocca spalancata ne erano segni evidenti.

Io, di nuovo, risi ma con molta più leggerezza e bevvi un sorso della mia birra.

"Ho passato tutta la notte a cercare sue notizie sul web, poi -appena tornata qui- ho chiesto ai tuoi genitori delle conferme."

"E...?"

"Alla fine mi hanno raccontato tutta la verità" risposi. "Lei mi ha abbandonato ma si è sempre mantenuta in contatto con loro, così d'avere mie notizie; Zia Claire non mi ha mai detto nulla per paura però quando ho compiuto diciannove anni ha dato una specie d'ultimatum a mia madre: pensava, giustamente, che ormai fossi abbastanza grande da fare le mie scelte, quindi le ha dato il mio numero di telefono e le ha chiesto di chiamare direttamente me per altre rassicurazioni."

"Ma non l'ha mai fatto!" urlò Amy, quasi sobbalzando sul posto. "Che stronza!"

Feci un cenno con la testa e tornai con lo sguardo al mio boccale.

Sentii mia cugina sospirare accanto a me, poi -nonostante all'interno di quel piccolo pub vicino al parco stavano cominciando a radunarsi altre persone- tornai improvvisamente a sentirmi sola.
E senza forze.
La rabbia che mi era ribollita dentro fino a quel momento era svanita e la delusione, invece, si stava sempre più tramutando in senso di colpa verso i miei zii: i loro volti, devastati dalla negligenza e dalla tristezza, erano l'unica immagine importante della mia giornata. Dopo la loro confessione non ero riuscita a dire nulla, semplicemente li avevo guardati e poi, in silenzio, ero andata via.

"Ci dispiace tanto Jane... Per anni abbiamo sperato che questo giorno non arrivasse mai, ma devi sapere che tutto è stato fatto per il tuo bene."

"Cosa farai adesso?"

"Niente" risposi, scrollando le spalle. "Mi hanno paragonata a lei ma -da quando ho memoria- sembro non somigliarle."

"Per fortuna!" Ribatté mia cugina, alzando la voce.

Ridacchiai e, di nuovo, mi voltai verso di lei.

"Non volevo rovinarti il compleanno... mi dispiace."

Amy sembrò un pò spiazzata dalle mie scuse, ma si riprese subito: tornò con la schiena dritta e un sorriso luminoso in volto, come se tutto quello detto fosse solo parte di una insignificante parentesi.

Gliene fui grata.

"Beh, c'è ancora tempo per rendere memorabile questo giorno!" Disse, prima di prendermi per mano e trascinarmi al centro della pista da ballo.




Angolo autrice: io sono tornata. Sì. Con un capitolo non del tutto leggere, felice e spensierato ma sicuramente con uno che completa -più o meno- la faccenda relativa alla vita privata di Jane. Era doveroso, soprattutto per la parte finale di questa storia.

Detto questo, alla prossima!

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora