Capitolo 9

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Baku - Giorno 3 (sabato sera)


Erano ormai cinque minuti che mi trovavo lì, in piedi davanti a quella porta. Nervosa -con le mani strette sulla pochette nera e le gambe tremanti sui tacchi alti- la guardavo con la speranza che si aprisse da un momento all'altro, senza dover compiere per forza il fatidico gesto di bussare.

E tutto perché avevo paura: di sbagliarmi, di essere fraintesa, di affezionarmi, di buttarmi in una cosa molto più complessa di me, di soffrire ancora.

Andiamo Jane, non lo scoprirai mai se non affronti la situazione!

Respirando a pieni polmoni, alzai il braccio destro e feci scontrare le nocche della mia mano contro il legno scuro.

Uno, due, tre, quattro, cinque...

Quando la porta venne aperta, rimasi folgorata nel trovarmi davanti un bellissimo Lewis Hamilton. Solo in qualche scatto fotografico lo avevo visto indossare in modo impeccabile un elegante completo nero e mi sentii assolutamente a disagio nel constatare come prima cosa il contrasto della camicia bianca -aperta all'altezza del primo bottone vista l'assenza di una cravatta- sulla sua pelle scura, qualcosa che mai mi era saltato all'occhio ma che, insieme al fisico ben definito e ai tatuaggi, lo rendevano fin troppo sensuale.

"Jane!" Mi salutò lui, sorridendo.

Nonostante l'imbarazzo provocato dalle decine di pensieri impuri che avevano attraversato la mia mente negli ultimi istanti -svelati dalle mie guance color pomodoro-, non mancai di notare come i suoi occhi passarono velocemente in rassegna la mia figura. In quel momento fui davvero fiera di me stessa per aver deciso di portare almeno un abito decente per quel week end: un semplice tubino rosso, corto fin sopra al ginocchio.

"Ciao Lewis" salutai a mia volta. "Scusa per il ritardo, il lavoro mi ha trattenuta."

"Non ti preoccupare!" mi rispose, aprendo maggiormente la porta. "Vieni, entra."

Spalancò la porta e si mise di lato, lasciandomi così la possibilità di varcare la soglia: non rimasi per nulla sorpresa dall'ambiente spazioso, lussuoso e luminoso che era la sua camera d'albergo, ma nonostante ciò non mi risparmiai di puntare il mio sguardo affascinato su alcuni particolari presenti che, probabilmente, avrei visto solo quell'unica volta nella mia vita.

"Vuoi darmi la giacca?"

La voce di Lewis mi destò dall'esplorazione della suite e con un attimo di esitazione, gli consegnai proprio la giacca nera che indossavo e -dopo aver recuperato il cellulare- anche la borsa. Lui gettò entrambi gli accessori su una cassapanca presente all'ingresso e senza dire nient'altro, afferrando solo la mia mano, mi fece strada verso il soggiorno.

"Non hai fatto tutto tu, vero?" Gli chiesi, facendo riferimento alla combinazione di ornamenti -semplici ma raffinati- che spiccavano in quella parte della suite.

"Ovviamente no!" rispose, ridacchiando. "Ho solo informato i camerieri che questa sera non avrei cenato da solo, e loro hanno pensato al resto."

"Quindi predispongono candele e fiori per ogni ospite?" Domandai ancora, non riuscendo a cancellare un sorrisetto beffardo sul mio volto.

Lewis rimase per qualche istante in silenzio, con la tipica espressione facciale di chi capisce di esser appena stato colto sul fatto.

"Forse ho accennato alla presenza di una ragazza." Rispose scrollando le spalle, con una finta disinvoltura.

Io non mi trattenni e scoppiai a ridere e fui lieta di notare che lui mi seguì a ruota, alleggerendo l'atmosfera da nervosismo e strano imbarazzo che si era instaurata fin dal primo momento.

Photograph - Lewis HamiltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora