Capitolo 6

1.5K 53 5
                                    

Ero abbastanza certa che la velocità con cui il rossore mi avrebbe tinto le orecchie e le guance di lì a poco non sarebbe stata battuta neanche dal teletrasporto a cui il mio corpo aveva fatto ricorso per spostarsi dall'ufficio di Grimaldi al mio.

«Tutto bene?» chiese Mattia cauto, quando mi materializzai davanti a lui. Annuii. «Sei sicura?» Annuii di nuovo. «Marzio non ti ha detto di non disturbarlo durante la pausa pranzo se la porta è chiusa, vero?» Scossi la testa.

Mi trovavo in uno stato mentale instabile. Avevo appena visto il mio nuovo capo, al mio primo giorno di lavoro in prova, in atteggiamenti intimi con qualcuno. E questo poteva significare solo una cosa.

«Sono licenziata?» chiesi a Mattia, ritrovando la voce.

«Non credo, no. Però ti consiglio di non disturbarlo nei prossimi giorni» rispose. Annuii in silenzio.

«Riviero!» tuonò una voce nel corridoio. Sobbalzai dalla paura. Sono morta, altro che licenziata.

«Va' pure» mi disse Mattia, mettendomi in mano i documenti da restituire.

«Signore» dissi ritrovandomelo fuori dalla porta del suo ufficio. Non disse nulla, ma si fece da parte invitandomi ad entrare. Di barbie non c'era più nessuna traccia. «Signore, ho finito ciò che mi aveva detto di fare.» Non riesco a guardarlo negli occhi. «Prendo gli altri documenti e mi rimetto al lavoro» dissi, sperando di potermi dileguare il più velocemente possibile.

«Non così in fretta, Riviero» mi bloccò.

«Capo, io non sapevo che fosse occupato» mi giustificai prima di iniziare a blaterare. «La prossima volta farò più attenzione. Anzi no! Non ci sarà una prossima volta! Le prometto che non mi avvicinerò al suo ufficio durante l'ora di pranzo, neanche se la porta è aperta.»

«Riviero-»

«Signore, non uscirò dal mio ufficio. Rimarrò lì così da non dovermi neanche avvicinare a questa stanza.»

«Riviero-»

«Le assicuro, signore, che non capiterà mai più. Mai più. Starò alla larga da questa stanza anche durante le altre ore del gior-»

«Per la miseria! Vuole stare un po' zitta!» sbottò perdendo la sua compostezza e facendo regnare finalmente un po' di silenzio.

«La prego non mi licenzi» piagnucolai. Puntare sulla pietà. Quella era la chiave per non farmi cacciare.

«Licenziarla?»

«Mi ha chiamato per questo, no?» bofonchiai, mentre rischiavo davvero di scoppiare a piangere. Non mi cacciare, non mi cacciare, non mi cacciare.

«Non l'ho chiamata per questo, Riviero» sospirò, passandosi una mano tra i capelli. I miei pensieri avrebbero indugiato maggiormente sulla loro apparente morbidezza se la situazione non fosse stata critica. «Speravo di non esserle sembrato una persona poco seria.»

«Come, signore?» Si sta preoccupando di questo? pensai incredula.

«Per via di quello che è successo poco fa in questa stanza.»

«Non credo sia rilevante la mia opinione in merito alla relazione tra lei e la sua fidanzata» dissi con un misto di confusione e sorpresa.

«La signorina Costa non è la mia fidanzata!» rispose come se lo avessi insultato.

Ci osservammo in silenzio per qualche secondo. Era evidente che aspettava che fossi io a dire qualcosa, ma probabilmente ciò che dissi non combaciava con ciò che aveva immaginato.

«La signorina chi?» chiesi, in pieno alla confusione. Ma chi è questa Costa?

«La donna che ha visto poco fa» disse più confuso di me. Ohhh, Barbie.

Miele nei tuoi occhiWhere stories live. Discover now