Capitolo 60

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Marzio e Mattia avevano concesso all'intera azienda un giorno libero a causa dell'improvvisa crisi che ci trovavamo ad affrontare. Loro erano comunque andati al lavoro, ma non avevano permesso neanche a me di mettere piede in ufficio.

Tuttavia, io non avevo alcuna intenzione di starmene con le mani in mano.

Gettai un'ultima occhiata ai cartelloni pubblicitari, che riproducevano le creazioni che ci avevano rubato, ed entrai nella sede dell'Arabesque ignorando la voce della segretaria che mi intimava di fermarmi.

Aprii tutte le porte che incontrai, in cerca di Elvira o di chiunque avesse un minimo di autorità lì dentro. E poi, la vidi.

Era di spalle, a circa dieci metri da me. Indossava un vestito verde che si intonava molto bene con il colore dei suoi capelli e stava parlando con un uomo di mezz'età nel corridoio.

Mi dispiaceva per quell'uomo, ma quella conversazione stava per finire.

Mi diressi a passo veloce verso di lei. Il rumore dei miei tacchi sul pavimento attirò la sua attenzione e le permise di voltarsi e vedermi prima che io la afferrassi di sorpresa per i capelli.

«Daphne» disse sorpresa, facendo un passo indietro. «Cosa ci fai qui?»

«Cosa ci faccio qui?!» esclamai, alzando il tono della voce. «Come hai osato, brutta vipera manipolatrice! Sei una ladra, ecco cosa sei. Hai rovinato mesi e mesi di lavoro di decine e decine di persone!»

Avevo iniziato a camminare verso di lei e questo l'aveva spinta ad indietreggiare verso il muro.

«Signorina» mi bloccò sorpreso l'uomo con cui Elvira stava parlando. «Si può sapere che succede?»

Mi voltai verso di lui, comprendendo che dovevo sembrargli una pazza, e con un tono gelido dissi: «Non so chi è lei, ma può riferire a chiunque lei voglia che una denuncia non ve la toglie nessuno per questa faccenda!»

Mi guardò stupito per le mie parole, perciò pensai che fosse meglio far spiegare ad Elvira la situazione.

«Avanti, spiega, Elvira!» la invitai. «Spiega perché l'Arabesque rischia una denuncia per colpa tua!»

Elvira non rispose e si morse il labbro inferiore come se stesse per mettersi a piangere.

«Non ricominciare con questo vittimismo!» la implorai esasperata. «Hai scelto tu di rubare quei disegni alla Grimaldi Corporation per una tua vendetta personale. Sei la persona più meschina che io abbia mai incontrato nella mia vita e ti assicuro che ne ho incontrate parecchie!»

Aveva le lacrime agli occhi adesso e, agli occhi di chi ci stava osservando dall'esterno, lei doveva sembrare una ragazza fragile davanti alla pazza che le stava urlando contro.

Tuttavia, il fatto che avessi detto apertamente che c'era stato un furto di idee e che lei era la colpevole giocava a mio favore.

L'uomo che mi aveva bloccato preoccupato si spostò, permettendomi di raggiungere Elvira e suonargliele di santa ragione se solo avessi voluto. Cominciava a capire che c'era qualcosa di strano, perché disse: «Quei disegni erano della Grimaldi Corporation?»

Forse, ad essere informata della realtà della situazione, era solo la proprietaria dell'Arabesque. Non mi avrebbe sorpreso sapere che la velocità con cui quella collezione era uscita fosse dovuta alla volontà di battere la Grimaldi Corporation sui tempi.

In fin dei conti, non avrebbe avuto molta importanza se fosse trapelata la notizia che quella collezione era stata rubata. La peggior cosa che poteva succedere era mettere a repentaglio la propria reputazione, ma comunque quella faccenda sarebbe stata dimenticata in poco tempo.

Tuttavia, rubare la collezione su cui la Grimaldi Corporation aveva speso energie e tempo significava dare una spallata alla propria rivale.

Adesso, noi non potevamo più improvvisare una nuova collezione nel giro di così poco tempo, non quando non avevamo neanche la stoffa e il materiale di cui avremmo dovuto fare uso.

«Perché lo hai fatto?» le chiesi. «Avresti potuto vivere tranquilla senza creare problemi. Non posso credere che tu abbia fatto tutto questo solo per vendicarti di me e Marzio.»

Elvira sembrò riflettere sulle mie parole e poi mi spiegò il motivo per cui aveva fatto qualcosa di così grave e deplorevole.

«Adesso non ha più un motivo valido per stare con te» mi rispose alzando la voce. «Era la Grimaldi Corporation a tenervi insieme. Vi siete sposati solo per salvare l'azienda!»

Feci un passo avanti, pronta a tirarle uno schiaffo. Non era da me avere comportamenti aggressivi, ma quella ragazza aveva la capacità di tirare fuori il peggio di me.

Fu quell'uomo che poco prima mi aveva impedito di aggredirla a pararsi di nuovo tra noi due.

Nei suoi occhi, tuttavia, capivo che stavolta non la stava cercando di proteggere. «Non faccia qualcosa di cui si potrebbe pentire» disse soltanto. Mi guardava in modo comprensivo, capendo perfettamente perché fossi fuori di me.

Feci un respiro profondo e mi calmai, recuperando un po' di autocontrollo.

«Avresti potuto trovarti un bel lavoro e fare carriera. Eri abbastanza intelligente da poter ottenere grandi risultati, anche se ciò non sarebbe mai avvenuto alla Grimaldi Corporation» dissi. Le mie parole la sorpresero: non si aspettava di certo tali complimenti dopo ciò che le avevo detto.

Tuttavia, capì ben presto dove volevo andare a parare.

«Ma questa faccenda, Elvira» dissi. «Questa faccenda è una macchia sul tuo curriculum adesso. Nessuno vorrà assumerti dopo aver saputo di questo furto. Mi assicurerò personalmente che nessuno ti voglia assumere, neanche per il più banale incarico. Nessuno permetterà mai ad una ladra di mettere piede nella sua azienda, che sia qui in Italia o all'estero» le promisi.

Elvira mi guardò preoccupata e i suoi occhi, per la prima volta da quando la conoscevo, si riempirono di lacrime sincere.

Aveva capito che non stavo esagerando quando le avevo fatto tutte quelle promesse. Aveva capito di aver giocato un po' troppo audacemente col fuoco e di essersi bruciata.

Adesso, potevo solo assicurarmi che le mie non fossero solo parole buttate al vento.

Uscii da quel posto in cui mi sentivo soffocare e, mettendo da parte l'orgoglio, chiamai qualcuno a cui non chiedevo più aiuto da anni.

«Daphne?» rispose sorpreso. Non lo chiamavo mai e sapeva che doveva esserci un motivo ben preciso se mi ero decisa a prendere quel telefono in mano e a contattarlo.

Feci un respiro profondo. Sapevo che le mie azioni erano dettate dalla voglia di vendetta, ma, in fin dei conti, per Elvira sarebbe stato impossibile trovare un lavoro solo in aziende importanti e prestigiose. Per il resto, il mercato del lavoro era molto vasto.

La sua vita sarebbe stata un inferno solo perché puntava in alto e aveva grandi ambizioni, ma sarebbe riuscita comunque a vivere una vita dignitosa con qualunque altro lavoro avesse trovato.

«Papà, mi serve un favore» dissi soltanto.

Miele nei tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora