Capitolo 10

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Quella settimana, sembrava che l'azienda fosse stata gettata nell'anarchia. Sembrava, ovviamente, perché Grimaldi faceva sì che tutti rigassero dritto e svolgessero il loro lavoro al meglio.

Dopo la nostra sfuriata di qualche giorno prima, non avevamo più toccato l'argomento, sia perché non vi era stato il tempo materiale per farlo, sia perché avevamo evitato accuratamente di trovarci nella stessa stanza senza che vi fosse anche Mattia.

Non avevo tuttavia percepito odio nella sua voce, quando si rivolgeva direttamente a me, e questo mi aveva dato motivo di credere che si fosse fatto un esame di coscienza e avesse capito quanto si fosse sbagliato sul mio conto. In quei giorni, non mi aveva urlato contro né aveva osato un tono arrogante e le motivazioni potevano essere solo due: o stava mettendo le distanze, o il suo era un goffo tentativo per riparare alle parole offensive che mi aveva rivolto. Non che le mie fossero state più gentili.

La tensione per la sfilata di quella sera, però, aveva riattivato il vecchio comportamento di Grimaldi nei miei confronti.

«Riviero! Si muova!» mi gridò per l'ennesima volta. E mancano ancora due ore, prima dell'inizio della sfilata. Povera me!

Mi trascinai dietro di lui, attenta a non rovinare gli abiti per i modelli che tenevo in mano. A quanto pareva, il mio ruolo nell'azienda era essere la sua sguattera.

Il quinto piano dell'azienda, destinato a questo genere di eventi, era stato arredato con colori delicati per quella sfilata. Guardai soddisfatta le sedie bianche vicino alla passerella: era stata dura convincere Grimaldi ad utilizzare quel colore piuttosto che il nero. Avevamo avuto una discussione abbastanza pesante a proposito ed ero sicura che si fosse arreso per disperazione.

«Riviero!» gridò nuovamente. Arrivo, arrivo. «Adesso, sale a darsi una sistemata» disse osservandomi distrattamente e sistemando per l'ennesima volta una sedia che era perfetta nella posizione in cui si trovava.

Non osai osservare lo stato in cui si trovavano i miei vestiti, men che meno i miei capelli. Ero perfettamente consapevole del fatto che la doccia che avevo fatto neanche due ore prima era stata inutile, dopo che Grimaldi mi aveva costretta a sgobbare per lui una volta arrivata in azienda. Il tailleur elegante che avevo indossato per quella serata era tutto sgualcito e i miei capelli dovevano aver subito una sorte peggiore.

«Va bene, capo» sospirai. Potevo sistemare i vestiti, ma per i capelli c'era poco da fare: ormai la piega era scomparsa.

«Senza gli abiti per la sfilata, Riviero!» sbraitò Grimaldi, mentre mi incamminavo verso l'ascensore con i vestiti che i modelli avrebbero dovuto indossare.

«Ci penso io» disse Mattia, sfilandomeli con delicatezza dalle mani.

Grimaldi, nel frattempo, era entrato nell'ascensore e feci appena in tempo a infilarmici dentro prima che le porte si chiudessero. Quando però ci ritrovammo da soli in quel piccolo spazio, mi ritrovai a pensare che sarebbe stato meglio farmi otto piani di scale piuttosto che stare lì dentro con lui.

Avevamo evitato una situazione del genere per una settimana e ora non riuscivo a capire se vi fosse imbarazzo o fastidio nell'aria.

«Non credevo che noi dipendenti saremmo stati presenti questa sera» dissi interrompendo quel silenzio soffocante. In effetti, quando giorni prima Mattia me lo aveva rivelato, ero rimasta molto sorpresa.

«Perché non avreste dovuto? Avete fatto voi il grosso del lavoro, meritate di godervi il risultato.» Mi voltai verso di lui profondamente colpita. Wow, allora anche lui ha un cuore.

Nel frattempo, l'ascensore aveva raggiunto il nostro piano e, quando uscimmo da lì, pensai di essermi immaginata le parole dolci che Grimaldi aveva detto con una naturalezza sconvolgente. E il fatto che lui non sembrava essersi reso conto minimamente della loro profondità, mi portò a credere di aver avuto un'allucinazione.

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